Un 80enne gioielliere palermitano capo di “cosa nostra”? E Matteo Messina Denaro dov’è? Non comanda più lui? Inizia nuova guerra di mafia?

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
04 Dicembre 2018 09:00
Un 80enne gioielliere palermitano capo di “cosa nostra”? E Matteo Messina Denaro dov’è? Non comanda più lui? Inizia nuova guerra di mafia?

E’ di questa mattina la notizia che “cosa nostra”, dopo anni avrebbe ricostruito la storica “cupola”, cioè il vertice dell’organizzazione mafiosa. Ciò emerge da una indagine della DDA di Palermo che ha disposto il fermo di 46 persone tra cui il nuovo capo dell’organizzazione: Settimino Mineo, 80 anni, ufficialmente gioielliere, un “curriculum” mafioso di decenni, è il nuovo capo di “cosa nostra”. Nella notte è stato arrestato assieme ad altre 45 persone che compongono gli organigrammi di quattro mandamenti: Pagliarelli, Porta Nuova, Bagheria-Villabate e Misilmeri-Belmonte Mezzagno.

Il fermo è stato eseguito dai carabinieri del comando provinciale. Le accuse per gli indagati sono di associazione mafiosa, estorsione aggravata, intestazione fittizia di beni, porto abusivo di armi, danneggiamento a mezzo incendio, concorso esterno in associazione mafiosa. Mineo, dopo la morte del boss Totò Riina, sarebbe stato designato al vertice della commissione provinciale che da anni ormai aveva smesso di riunirsi, segno che i clan avevano scelto di tornare alla struttura unitaria di un tempo.

Già condannato a 5 anni al maxi processo istruito da Giovanni Falcone, fu riarrestato 12 anni fa per poi tornare in libertà dopo una condanna a 11 anni. È lui, secondo la Procura di Palermo e i carabinieri del Comando provinciale, guidati dal colonnello Antonio Di Stasio l’uomo chiave del dopo Riina. L’arresto di Mineo e di altri 45 componenti di “cosa nostra” ci porta ancora una volta ad interrogarci sul destino di Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano latitante dal 1993, che in questi anni è stato considerato a capo di “cosa nostra” quale erede naturale di Totò Riina, prima ancora pertanto della morte del capo del clan dei corleonesi.

Lo scorso aprile la stessa Procura di Palermo ordinò l’imponente operazione “Anno Zero”  arrestando, sempre su disposizione dei magistrati della Direzione distrettuale Antimafia di Palermo, 22 soggetti residenti a Castelvetrano, Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e Partanna indagati per associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni, reati aggravati dalle modalità mafiose.  Tutti ritenuti componenti della rete a protezione e sostegno di Matteo Messina Denaro che dal 1993 da latitante avrebbe il controllo della cosca mafiosa del trapanese e degli affari di “cosa nostra” nello stesso territorio.

Secondo gli stessi magistrati vi sarebbe stato il serio rischio di una nuova guerra, con azioni violente per il controllo del territorio. Una guerra fra personaggi “emergenti” e non e la cerchia più stretta a sostegno del superlatitante castelvetranese che da qualche anno, forse a causa dei frequenti arresti, avrebbe allentato il suo controllo; già l’8 luglio 2017, due giorni dopo l’omicidio Marcianò, avvenuto nelle campagne di Campobello di Mazara, in un articolo parlammo della possibilità dell’inizio di una nuova “guerra di mafia per il controllo del territorio di Matteo Messina Denaro”.

Le modalità del delitto Marcianò e la vicinanza della vittima ad ambienti di “cosa nostra” fecero subito pensare a un omicidio di mafia, altra pista quella del traffico di migranti, ma può darsi che due cose fossero collegate. Marcianò era alla guida di una moto quando è stato sorpreso dai killer che lo hanno centrato alle spalle con diversi colpi di arma da fuoco. I sicari dopo il delitto hanno abbandonato, a circa 200 metri dalla sparatoria, l’auto, una Fiat Punto, usata per l’agguato, alla quale hanno appiccato il fuoco.

Chissà che quell’omicidio, avvenuto secondo le più tradizionali tecniche di esecuzione adottate dai “corleonesi”, non sia stato un segnale lanciato dallo stesso Matteo Messina Denaro nel volere disincentivare qualsiasi tentativo individuale, o di un gruppo, dall’affrancarsi dal suo controllo, o ancor più nel volere tagliare sul nascere un tentativo di scalata per il comando del territorio. Quell’omicidio e gli arresti avvenuti con l’operazione “Anno Zero” impongono degli interrogativi, uno fra tutti: a causa della sua latitanza, consumata in luoghi fuori dal suo territorio, sarebbe in discussione la “leadership” di Matteo Messina Denaro in seno alla mafia della Sicilia occidentale? Vi è forse una “crisi di potere” dovuta dalla mancanza  di un “collante generazionale” all’interno della cosca trapanese? Ciò sarebbe stato causato dalla  mancanza di alcuni grandi vecchi (diversi arrestati e qualcuno deceduto) che garantivano quella “cinghia generazionale” fra la vecchia mafia corleonese e la nuova generazione che “venera” Matteo Messina Denaro.

(in foto n.2 un incontro fra i vecchi boss di Mazara e Salemi, Vito “Gondola” e Michele Gucciardi). Probabilmente, vedi l’arresto dell’80enne Mineo e altri 45, questa cinghia generazionale è invece garantita nell’hinterland palermitano, dove ancora hanno una grossa voce in capitolo i vecchi uomini di Totò Riina, coloro che permisero la sanguinosa conquista di Palermo, fra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80, da parte dei cosiddetti “peri ‘ncritati”. Questa nuova situazione potrebbe rompere la “pax” degli ultimi 20 anni e aprirebbe una nuova fase della storia di “cosa nostra” nel territorio caratterizzata da una nuova stagione di violenza.

In questo contesto è tornato in auge pertanto il dibattito sul presunto controllo del territorio esercitato dal super boss latitante Matteo Messina Denaro sul quale in questi anni si sono ventilate diverse ipotesi circa la sua mancata cattura. Si ipotizza da un lato che il “capo dei capi” abbia cambiato volto ed identità (vedi foto di copertina) per rimane nel territorio e allontanarsi quando necessario; vi è un’altra ipotesi di una sua latitanza fuori dal territorio, chissà nella vicina Tunisia, facilmente raggiungibile in gommone in pochissime ore, oppure in Sudamerica.

Oppure, semplicemente, Matteo Messina Denaro è morto. Ad ogni modo ci si interroga sempre se lo Stato in questi anni abbia posto gli uomini ed i mezzi necessari per arrestarne la latitanza? Qualora fosse ancora vivo, sarebbe arrestato al momento giusto, cioè quando servirà (furono così gli arresti di Riina ed altri superboss)? Forse al momento la sua latitanza risulta “funzionale” al potere costituito per distogliere l’attenzione dalle grandi manovre politico-economiche che stanno, pian piano, cambiando il volto del “Bel Paese”? Francesco Mezzapelle

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