Confermata dalla Cassazione la condanna di Lucio Giacalone per incendio doloso e simulazione di reato. La sentenza di condanna definitiva arriva dopo una lunga controversia giudiziaria. Lucio Giacalone, 69enne di Mazara del Vallo. La sentenza conferma la condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione, inflitta in appello, per i reati di incendio doloso e simulazione di reato. L’episodio risale al 7 agosto 2017, quando secondo l’accusa, Giacalone avrebbe incendiato una piattaforma elevabile, nota come “ragno”, di proprietà dell’imprenditore Michele Tumbiolo, a Mazara del Vallo.
Durante l’attentato, l’uomo avrebbe riportato due fratture all’anca e avrebbe tentato di far passare l’incidente come un investimento da parte di un’auto pirata, affermando di essere stato investito in via Leto mentre si allontanava dal luogo dell’incendio. Questa versione fu presentata come una denuncia contro ignoti, con l’obiettivo di distogliere i sospetti da sé. La ricostruzione dell’accaduto faceva leva sul fatto che si fosse ferito nell’attentato ed era stato trovato dalla polizia con evidenti ferite. In primo grado, il giudice di Marsala aveva assolto Giacalone, supportato da una perizia che escludeva ogni coinvolgimento diretto.
Tuttavia, in secondo grado, la Corte d’appello di Palermo, il 14 novembre, ribaltò la sentenza condannandolo. I giudici palermitani ritennero che le testimonianze e le risultanze tecniche, tra cui la presenza di un forte odore di benzina e le bruciature agli arti inferiori di Giacalone, supportassero le accuse. Un punto cruciale della vicenda riguarda le tempistiche e le possibilità del soggetto di muoversi tra il luogo dell’incendio e quello dove fu rinvenuto, a circa 130 metri di distanza.
La difesa di Giacalone aveva evidenziato alcune incongruenze nelle ricostruzioni temporali: come fosse possibile che una persona con due fratture all’anca e età avanzata percorresse quella distanza in appena due minuti. La Procura aveva inoltre sostenuto che Giacalone cercasse di coprire il suo coinvolgimento presentando una falsa denuncia di investimento. In realtà, la Corte di Cassazione, con la sentenza definitiva, ha sottolineato come l’esito della perizia, che aveva escluso la percorrenza di 130 metri in due minuti, non fosse decisivo.
La corte ha infatti considerato altre evidenze, tra cui le testimonianze e i recenti riscontri tecnici, come il forte odore di benzina e le ferite di Giacalone, che corroboravano l’accusa. Il ricorso presentato dall’imputato è stato giudicato “inammissibile” dalla Cassazione, che ha confermato la condanna, chiudendo così un procedimento che si trascinava da anni.