Ultime della sera: “Tra sacro e profano, il senso dei palermitani per l’Immacolata”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
07 Dicembre 2020 18:05
Ultime della sera: “Tra sacro e profano, il senso dei palermitani per l’Immacolata”

di Catia CATANIA   Il giorno dell'Immacolata si entra nel periodo natalizio, ma mentre ovunque è la giornata in cui si monta l'albero o si allestisce il presepe, per i palermitani la Madonna, o la Marunnuzza, che è il nome con cui appellano questa Festa, è una vera e propria ricorrenza che va celebrata e festeggiata con tutti i crismi, e dove il sacro si confonde con il profano in un miscuglio culturale di grande fascino e bellezza. Quando entrai di diritto nella mia nuova famiglia palermitana capii che niente sarebbe più stato come prima e che da quel momento ci si aspettava che facessi anch'io la mia parte adeguandomi alla tradizione.

Gli auguri, per esempio. Ero abituata a porgerli a Natale, e poi a Capodanno, ma non avevo idea che pure per la Madonna bisognasse scambiarseli. Quindi se non volete essere presi per maleducati, se siete da queste parti l'8 dicembre non dimenticate di fare gli auguri a chiunque incontriate: a casa dei parenti, in chiesa, per strada, al bar. La sera del 7 dicembre si iniziano a scaldare i motori. Ma mentre a Milano è la festa di Sant'Ambrogio e c'è la prima alla Scala, a Palermo è la vigilia 'ra Maronna e si aprono le danze delle giocate a carte natalizie.

Inizia il periodo in cui il tavolo col panno verde la sera diventa il protagonista delle case dei palermitani. La vigilia dell'Immacolata qui è una vigilia a tutti gli effetti, da festeggiare con la stessa dignità con cui si festeggia il Natale, perché la celebrazione della Madonna non è certamente da meno della nascita di suo figlio, Gesù bambino. Quindi la famiglia si riunisce attorno al tavolo o, in alternativa, con gli amici. Dopo aver allestito l'albero o il presepe con il resto della famiglia le donne di casa, in particolare le più anziane, si dedicano alla preparazione del cibo già dal pomeriggio, perché la cena è essenzialmente povera ma richiede lo stesso tempo e maestria.

Innanzitutto perché si deve fondamentalmente impastare. Si prepara l'impasto per lo sfincione, la tipica pizza palermitana con cipolla, pomodoro, caciocavallo e acciughe, l'impasto per le sfinci, la pastella per le verdure, soprattutto cardi e broccoli che si friggono all'ultimo momento dopo un passaggio in pastella per mangiarli caldi, e si mette in ammollo il baccalà che va cucinato anch'esso rigorosamente fritto. E' anche festa per il fegato, ad essere sinceri, ma tant'è. Finito di cenare, si sparecchia velocemente e si apparecchia la tavola per il gioco, che si protrarrà fino a tarda notte, con qualche intervallo per gustare i dolci tipici di questa festa, come il buccellato o le sfince calde che qualcuno nel frattempo si è preoccupato di friggere.

Immancabile, sul tavolo, lo scaccio con cui accompagnare il gioco: mandorle, noci, noccioline, calia e simenza. Sul gioco a carte sorvolo, ci vorrebbe uno spazio a parte, soprattutto nel raccontare come si infervoravano e infiammavano le anziane zie che si contendevano gli euro in gioco (inammissibile per loro giocare senza soldi) neanche fossero grandi proprietà immobiliari, le litigate feroci tra di loro per motivi a me incomprensibili o con i bambini che in lacrime chiedevano di giocare a tombola.

Il pasto povero della sera della vigilia affonda la sua origine nella storia di questa festa. Tutti ricordano infatti che durante la peste del 600 il Senato palermitano ricorse all'intercessione di santa Rosalia che liberò la città dalla peste. Ma oltre alla Santuzza i palermitani rivolsero le loro preghiere anche all'Immacolata e, come atto di fede, il cardinale dell'epoca fece il voto di digiunare alla vigilia della festa. Una volta debellata la peste, le stesse autorità civili non dimenticarono gli impegni presi rinnovando ogni anno il giuramento prestato dal cardinale.

Sempre la sera della vigilia, all'interno della Basilica di san Francesco, i palermitani possono assistere all'offerta degli scudi d'argento che vede il sindaco, inginocchiato ai piedi della statua della Vergine, rinnovare il voto e le promesse fatte in illo tempore dal Senato. Questa funzione si svolge alla presenza oltre che della giunta, dei consiglieri comunali, delle guardie del comune nelle loro caratteristiche divise gialle e rosse e alla presenza del cardinale arcivescovo e di una folla festante.

L'8 dicembre, dopo il pranzo, questa volta meno frugale, ci si reca, già nel primo pomeriggio, presso la Basilica di San Francesco per la tradizionale processione dell'Immacolata. I fedeli assistono a quella che viene chiamata la “scinnuta”, cioè la discesa della statua della vergine dalla Basilica verso la piazza, da dove viene portata in processione, percorrendo il corso Vittorio Emanuele e la via Roma, fino in piazza san Domenico. Qui c'è la deposizione di una corona di fiori all'apice della colonna votiva da parte di un vigile del fuoco che sale con la tipica scala dei pompieri, di fronte ad una piazza gremita di fedeli, turisti, curiosi.

Segue l'intervento del Vescovo, di solito centrato sui problemi e le difficoltà che attanagliano la città, quello del Sindaco, e, concluso questo rituale, la statua della Madonna viene portata fino in Cattedrale, dove il simulacro si ferma e, sulle note del Magnificat, affronta “l'acchianata”, cioè la salita, con cui viene introdotto, a seguito di uno squillo di tromba e con i movimenti lenti dei portantini, dentro la chiesa tra gli applausi della gente. Le feste religiose, un vero e proprio culto per i palermitani, sono ancora molto sentite in questa città.

Ricordo, oltre all'Immacolata e al festino di Santa Rosalia, la festa di santa Lucia che è il tripudio della cucina palermitana, in cui viene riservato un vero e proprio tributo alla regina della cucina di strada, l'arancina, che i palermitani il 13 dicembre mangiano ininterrottamente dalla colazione fino alla sera prima di andare a letto. Sono feste dove il confine tra il sacro e il profano si assottiglia molto, perché ogni festa a Palermo, oltre al culto religioso, porta in se un drappello di tradizioni laiche, di liturgie, di rituali, soprattutto culinari, che nei secoli si sono stratificati attorno alla festa religiosa, diventandone immancabilmente un irrinunciabile contorno.

Per questo, negli anni, non ho mai rinunciato alla festa della Madonna e ho sempre fatto in modo di essere in città in quell'occasione, ne ho amato ogni sfaccettatura, dal cibo, agli appuntamenti religiosi e laici, alla devozione dei palermitani, all'aria di festa che si respira  perché la città è già addobbata e si sente il profumo del Natale, ai fiori, alla musica, all'affetto dei palermitani per il loro vescovo (ma anche per il sindaco nell'era di Orlando, eh), ogni aspetto tutte le volte mi emoziona e commuove, perché ogni volta uguale e immutato, e sa di casa.

Perché quello è anche il mio quartiere, la mia casa, san Francesco è la chiesa dove ho battezzato mio figlio, e mi addolora quest'anno non esserci ma soprattutto mi pensare che anche la Madonna si è dovuta fermare per la prima volta nella storia.

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