Mi sono recentemente imbattuta in un libro, pubblicato da Giunti, dal titolo “Merci, Monsieur Dior”. Il libro non l’ho ancora letto, ma mi ha aperto praterie di ricordi, rinsaldando la consapevolezza che libri e profumi sono stati in certi periodi della mia vita fortemente legati.
Da studentessa, i luoghi irrinunciabili nelle pause di studio erano fondamentalmente due, mete predilette dei miei giri palermitani e che a quei tempi distavano tra loro poche decine di metri. Uno era La Feltrinelli, tempio sacro e denso di rituali, custodia di ricordi di un tempo che scorreva lento, quando la libreria era anche luogo di socializzazione, di incontro e scoperta dell’altro, testimone di amicizie nate e finite dentro un veloce scorrere di pagine. Altri tempi, quando non c’erano i social e tra sconosciuti ancora si conversava.
L’altro era il reparto profumeria della Rinascente. Anche lì, ogni volta che ci torno, provo per qualche istante un’ebbrezza fuggevole di felicità. È una cosa scema, lo so. Non ho neanche idea di cosa vendano negli altri piani, non mi interessa. L’emozione la vivo tutta in quel piano terra, tra profumi, borse, cappelli e guanti, in quel mix di odore di pelle ed essenze di spezie fruttate e magnolia, tabacco e sandalo, ambra e muschio, gelsomino e vaniglia, le strade di Parigi e i parchi di New York.
Affondi le mani e il viso nel cachemire delle sciarpe, dentro guanti e cappelli eleganti e per un attimo ti illudi di non essere in Sicilia con venti gradi a novembre ma a Milano o a Parigi. E pazienza se poi finisce che non compri nulla, servirebbe un mutuo per fare acquisti lì, ma vivi ugualmente il fascino del lusso. Questa è anche la storia di un grande amore mai sopito: quello per i profumi Dior. In realtà l’amore ha un orizzonte ben più ampio e spazia su tutta la linea cosmetica Dior.
Penso che il rouge di Dior, il rossetto iconico per eccellenza, sia il punto di rosso più intrigante e sensuale, caldo e femminile. Che però io non uso. Perché, in realtà, la mia è una passione che si nutre di nostalgia, di tutto ciò che era ed ora non è più. E in questa scia di ricordi e cosmetici perduti si inserisce il mio vero rossetto Dior, l’amore di una vita, quello per cui ancora, dopo venticinque anni, mi struggo di rimpianto. Ed è quello che mi regalarono per i miei ventisei anni: un rosso mattone stupendo, ma quando lo consumai tutto e mi recai in profumeria per riacquistarlo mi spiegarono che le palette dei colori cambiano di anno in anno e quel rosso mattone non lo avrei trovato più.
Fu un grande dolore, ripensai a quando da bambina chiedevo a mia zia di comprarmi i rossetti per poi ritrovarmeli da adulta, nel timore che da grande non sarebbero più esistiti, come tutto ciò che, fugace e modaiolo, dopo qualche generazione non si usa più. Ecco, in quel momento in profumeria pensai questo, che avrei dovuto comprarne una cinquantina per costruirmi una riserva per la vita. Da allora vago alla ricerca, assai vana, di quella nuance di rosso perduta.
Per tornare alla Rinascente, la mente vola a quasi trent’anni fa quando, da studentesse squattrinate, noi ragazze vi entravamo e ci spruzzavamo da capo a piedi col tester del nostro profumo preferito. Il mio era appunto Poison di Dior, misterioso, raffinato e sensuale, un’alchimia di note speziate, floreali e ambrate, con accordi sensuali di miele e muschio che racchiudevano fascino e femminilità e che comprendevano anche prugna, coriandolo, anice, bacche selvatiche, tuberosa, incenso, garofano, cannella, gelsomino, fiori d’arancio africano, rosa, vaniglia, ambra, sandalo, cedro della Virginia.
Mi inzuppavo il cappotto e ci campavo di rendita per almeno una settimana, anche se i primi giorni ero inavvicinabile e le mie coinquiline volevano cacciarmi di casa. Adesso non lo uso più, anche se sono rimasta fedele alla maison, ma ogni volta che lo risento nell’aria mi si apre il sipario su frammenti di vita lontani che tornano, nitidi, alla memoria, con il loro carico di tenerezza e di nostalgia. Aveva ragione Proust, il nostro olfatto non dimentica, per questo non siamo in grado di frenare l’invasione di ricordi che un profumo evoca.
La memoria olfattiva è involontaria e poco razionale, ma ci fa riprovare sensazioni ed emozioni vissute in tempi anche lontanissimi.
Come il mio Poison e l’esplosione di essenze del piano terra della Rinascente.
di Catia CATANIA
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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