“Una punta di Sal”. Le promesse elettorali e il cancro della burocrazia

“In nome del popolo sovrano il cittadino è ritornato suddito del potere politico…”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
21 Aprile 2024 11:09
“Una punta di Sal”. Le promesse elettorali e il cancro della burocrazia

Le promesse elettorali al nord o al sud non cambiano. Il linguaggio dei politici quando si avvicinano le elezioni nazionali, regionali e comunali, ritornano come una lieta novella, e non cambiano, sono tutte eguali, secondo, si intende, le esigenze personali o del territorio. Illusioni e delusioni, sogni svaniti. Perché cosa desidera l’elettore votando? Che si realizzino i suoi sogni. Occorre però che si sia coscienti di questo enorme investimento personale su una persona, candidato al Parlamento o candidato sindaco che, pur sembrandoci sincera e intima, in realtà nulla sa di noi ed è costretto da noi stessi a non essere del tutto sincero.

Perchè chiediamo a lui il posto di lavoro, un finanziamento per la nostra azienda, una sistemazione migliore per il figlio che lavora in qualche ente pubblico e così via. Ci sono forti pressioni sui politici affinché facciano promesse che non possono mantenere. Un partito che fa promesse pompose appare più ambizioso, intraprendente ed interessante agli occhi degli elettori in confronto ad un altro che non ne fa ed esce magari sconfitto. Il continuo succedersi di promesse, in seguito disattese, ha infastidito molti elettori, pertanto i politici hanno escogitato sistemi che fanno apparire le loro promesse più credibili.

Tra questi, presentare promesse sostenute da numeri oppure impostare scadenze entro le quali le promesse verranno mantenute, indicando ad esempio cosa verrà realizzato nei primi cento giorni di governo. Ma cosa può fare un sindaco nei primi 100 giorni di governo che se per il dragaggio del porto canale di Mazara ci sono voluti dieci anni? Quando le promesse devono essere infrante, tutti i politici sanno che è meglio farlo all'inizio di un mandato. La speranza è che negli anni trascorsi prima delle successive elezioni, il disappunto dell'elettorato sarà scemato.

Quando invece la promessa elettorale viene mantenuta (ad es. abbassamento delle aliquote delle tasse comunali e quelle statali e regionali se si tratta di elezioni con candidati al Parlamento nazionale o al parlamento siciliano), bisogna stare attenti perché spesso si intaccano le finanze dello Stato creando deficit pubblico e conseguente debito pubblico, con la conseguenza che il candidato al comune, al governo nazionale o regionale, si vanta di aver risolto un problema, ma avendone di fatto acuito un altro a medio-lungo termine.

In sostanza si ha l’impressione che si giochi più con le parole che con i fatti. Prendiamo la sanità pubblica, quella che più interessa ai cittadini. Mancano medici e strutture, promesse di ospedali efficienti, l’Abele Ajello di Mazara Dea di primo livello, le carte dicono così, i fatti sono diversi, promesse sulla carta non mantenute. E poi c’è anche la burocrazia che uccide il cittadino non solo sulla sanità ma anche nelle imprese, i lavori pubblici. Specialmente in Sicilia.

Perché il cancro burocratico ha ormai le sue metastasi in tutto il corpo istituzionale e sociale. In questi giorni abbiamo potuto sentire reazioni di questo tenore: “l’opera non si può fare perché ci sono nel mezzo enti pubblici diversi”; “non si può fare perché è così da secoli”; oppure “perché si è sempre fatto così…”: “perché la prassi, i protocolli…”. Insomma un crogiolo reazionario che vuole tutto fermo, tutto immobile, tutto morto. Nel Belice si attendono ancora i soldi per terminare la ricostruzione dopo il terremoto del ’68! In tempi di emergenza sanitaria, spicca in tutta la sua evidenza quanto la situazione sia ormai allo sbando.

In Sicilia forse più che altrove: liste d’attesa lunghissime e visite rinviate per centinaia di persone, costrette poi a ricorrere a proprie spese al privato; le operazioni di routine annullate a data da destinarsi. E’ una disperazione. In Sicilia non si muore soltanto di malattie, si muore di indifferenza e si muore anche di burocrazia. Perché non si può neanche immaginare il calvario che il malato è costretto ad affrontare per ricevere quei presidi medici e quelle prestazioni sanitarie che possono salvargli la vita e che, almeno sulla carta, dovrebbero tempestivamente essere garantite.

ll malato, allora, muore due, tre, quattro, cinque volte: muore dentro e si rassegna, e si rassegnano tutti quei familiari che nel frattempo sono costretti a pagar di tasca propria. Ma chi non può permetterselo? Lo si lascia morire? Per non parlare delle interminabili liste d’attesa per prenotare Risonanza Magnetica e TAC, nonché precise visite specialistiche. Che senso ha parlare di sanità pubblica se poi un qualunque paziente è costretto a ripiegare su un privato, per poter effettuare una visita? Perché è di questo che si tratta: chiunque ricorra, costretto dal bisogno, al sistema sanitario, non lo fa certamente per capriccio ma per necessità.

E’ un paziente, non un cliente. Trecento anni fa l'uomo si è liberato dal dispotismo del monarca assoluto che decideva a propria discrezione della vita dei propri sudditi. Sulla base del principio democratico, la sovranità è passata dal monarca al popolo. Ma il risultato è stato lo stesso: in nome del popolo sovrano, il rapporto tra cittadino e potere politico si è trasformato, il cittadino è ritornato suddito come era sotto il sovrano assoluto; la fiscalità è lo strumento con il quale il potere politico esercita il proprio dispotismo.

In definitiva, solo una grande riforma della Pubblica amministrazione può liberare il cittadino dalla dittatura della burocrazia, che tiene sotto il proprio controllo anche la politica.

Salvatore Giacalone

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