“Una punta di Sal”. Le condizioni del porto canale e il settore pesca mazarese

Il sogno del dragaggio del porto e le sorti del comparto peschereccio. Ascesa e declino della pesca a Mazara del Vallo

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
13 Febbraio 2022 08:25
“Una punta di Sal”. Le condizioni del porto canale e il settore pesca mazarese

E’ il sogno dei mazaresi. Non un sogno qualsiasi ma “il sogno” della navigabilità del porto canale. L’“American dream” di un popolo che vuole rivedere scorrere l’acqua limpida del suo fiume, il Màzaro, che racconta la storia di una città. Sono trascorsi anni e la marineria di Mazara ormai è diffidente su tutto e su tutti. Da anni c’è il racconto di un dragaggio attraversato anche da una vicenda giudiziaria che avrebbe bloccato l’appalto ma i mesi e gli anni si allungano e risposte concrete non se ne hanno.

La draga non arriva. “E’ mai possibile – dice il marittimo Vito Asaro – che si attende da anni un’opera non di grande entità ma che potrebbe ridare vitalità a Mazara e al suo porto?” Giriamo l’interrogativo ai politici dell’Ars e a quelli di Roma che, regolarmente, promettono mari e monti, palloni gonfiati nelle campagne elettorali e che si sgonfiano subito dopo, eletti o non eletti. (in foto copertina uno dei tanti pescherecci incagliati nel porto mazarese a causa del basso fondale). 

Ma il porto di Mazara non è soltanto economia ma anche storia. Una storia particolare e che si perde nella notte dei tempi. Affonda le sue radici nel XI secolo A.C., periodo nel quale i Fenici realizzano sulla costa mazarese un emporio in grado di assicurare la sosta delle navi in transito verso la Spagna. La lode per la pescosità dei suoi mari e dei due fiumi (Màzaro e Arena) che la racchiudono è documentata da diversi scritti, fra i quali un opuscolo stampato nel 1513 dal titolo De flumunibus Selinunti et Màzaro (Quinci 1931).

Ma è dalla fine della seconda guerra mondiale che Mazara del Vallo intraprende un forte processo di trasformazione industriale. A differenza dei porti limitrofi di Trapani e di Sciacca, rispettivamente coinvolti nella pesca del tonno e del pesce azzurro, Mazara del Vallo riesce a cogliere le nuove opportunità tecnologiche offerte dalla motorizzazione delle navi e dagli sviluppi della pesca a strascico. Una trasformazione che sarà non solo economica, ma soprattutto sociale.

Ponendo l’attenzione sulle imbarcazioni con una “lunghezza fuori tutto” maggiore di 14 metri, i dati estrapolati dai Registri navali consentono una prima e immediata rappresentazione dell’andamento di lungo periodo della flotta peschereccia di Mazara del Vallo (definita come l’insieme delle navi da pesca possedute dai soggetti residenti a Mazara anche se registrate in compartimenti navali diversi). La scelta dei 14 metri come spartiacque nella rappresentazione del segmento più significativo dell’industria mazarese è da ricollegarsi alle dimensioni minime delle prime imbarcazioni a strascico entrate in attività alla fine della seconda guerra mondiale.

L’andamento della flotta peschereccia mazarese sembra caratterizzato da tre ben distinti momenti: il momento dell’espansione, quello della sostanziale stabilità e, infine, quello della progressiva contrazione. L’espansione della flotta è avvenuta in circa quarant’anni: dal 1945 al 1984, il numero delle imbarcazioni (con una LFT (lunghezza fuori tutta) maggiore di 14 metri) passa infatti da 14 a 271 unità. Nella seconda metà degli anni ’80 si registra una sostanziale stabilità dell’industria mazarese, la quale poi vira verso una rapida fase di declino già nei primissimi anni ‘90.

Una considerevole riduzione che spinge la flotta mazarese a perdere oltre 170 imbarcazioni in meno di venticinque anni.

La storia della pesca di Mazara del Vallo sembra una comune storia industriale, di un’industria matura, in fase di declino. In realtà, la storia dell’industria della pesca di Mazara del Vallo è molto più complessa e interessante. Essa è strettamente legata alla politica della pesca e, in alcuni importanti momenti storici, è stata parte del gioco politico internazionale svoltosi nel Mediterraneo Se osserviamo l’andamento della potenza motore media delle imbarcazioni da pesca (con una LFT maggiore di 14 metri) troviamo il primo indizio di una storia per nulla banale.

A fronte di una contrazione del numero delle imbarcazione iniziata all’inizio degli anni ’90, la potenza motore media delle unità da pesca è continuata a crescere almeno fino al 2002. Interpretando la potenza motore delle imbarcazioni come una rappresentazione del livello degli investimenti, il dato statistico sembra descrivere un’industria che continua ad evolversi, all’interno della quale la permanenza degli attori economici non è casuale, ma legata agli investimenti realizzati e alle strategie poste in essere.

Motori più potenti hanno significato una maggiore capacità spaziale della flotta mazarese (attiva dalle coste orientali dell’Egitto alle coste occidentali dell’Algeria), ma anche più elevati costi di gestione. Solo negli ultimi anni, il lungo andamento di crescita della potenza motore delle navi mazaresi si è arrestato. La ragione è duplice, da un lato i maggiori prezzi del carburante, dall’altro l’effetto della politica della Comunità Europea.

L’unica prospettiva per assicurare un futuro a questa importante attività che ha come target i crostacei, il gambero bianco, il gambero rosso e il viola e gli scampi, è l’avvio di un serio programma di cooperazione con i Paesi nord africani per l’adozione di piani di gestione degli stock che prevedano un prelievo razionale e sostenibile delle risorse, nonché adeguate aree di ripopolamento e protezione. Oggi i pescherecci d’altura danno lavoro a circa 600 persone cui si aggiungono 2.500 addetti nell’indotto: secondo stime, circa la metà rispetto a dieci anni fa.

Stesso discorso si può fare per il fatturato: i soli pescherecci, sempre secondo stime da parte degli armatori, fatturano oggi quasi 70 milioni l’anno ma la filiera comprende anche circa 30 imprese che si occupano di trasformazione e commercializzazione. Secondo alcune stime l’intero settore solo a Mazara varrebbe circa 200 milioni sicuramente almeno il 30 per cento in meno rispetto a dieci anni fa.

Per il rilancio del sistema ittico siciliano necessita, secondo l’ingegnere Giuseppe Pernice, responsabile dell’osservatorio siciliano della pesca, “una vera e propria rivoluzione silenziosa attraverso lo sviluppo delle buone prassi dell’economia circolare nell’ambito del modello di Crescita Blu”. Ha aggiunto che occorre una “rigenerazione delle risorse naturali, cura dei nostri mari, sostenibilità e innovazione nei processi produttivi, responsabilità individuale e collettiva dalla produzione al mercato, la creazione di nuove figure professionali”. Sarebbero questi gli “asset” della Strategia del Distretto della Pesca e Crescita Blu, dell’Osservatorio della Pesca del Mediterraneo e del Centro di Competenza Distrettuale, di cui Giovanni Tumbiolo è stato il creatore, ma è andato via molto presto. La rinascita non c’è stata.

Salvatore Giacalone

Ti piacciono i nostri articoli?

Non perderti le notizie più importanti. Ricevi una mail alle 19.00 con tutte le notizie del giorno iscrivendoti alla nostra rassegna via email.

In evidenza