“Una punta di Sal”. La mafia che non c’è più e quella di oggi

La cattura di Matteo Messina Denaro potrebbe rivelare come la mafia sia cambiata e come agisce nella società attuale

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
22 Gennaio 2023 13:24
“Una punta di Sal”. La mafia che non c’è più e quella di oggi

Non sono stati i “pizzini” a tradirlo ma la malattia che con ferocia lo ha assalito. Si è conclusa così la latitanza trentennale dell’ultimo esponente della mafia stragista, Matteo Messina Denaro arrestato dal Ros dei Carabinieri a Palermo dove si trovava per un controllo medico. L’arresto della “primula rossa” è un cerchio che si chiude, una macchina del tempo che riporta ad un mondo che non c’è più – quello della fine della Prima Repubblica, delle bombe e delle stragi – e che dice poco a chi ha meno di 40 anni, e nello stesso tempo apre una storia nuova, ancora tutta da scrivere quella di una mafia sommersa non più blocco di potere, del Potere grande.

La cronaca dell’arresto è ancora scarna: il set della cattura è un quartiere storico della mafia, San Lorenzo, dove un tempo insistevano le ville nobiliari più sfarzose (tra cui quella dove Visconti girò la scena del ballo del Gattopardo) e oggi assalito dalla speculazione edilizia. Matteo Messina Denaro è sfregiato dalla latitanza ma soprattutto dalla malattia, un volto irriconoscibile e lontanissimo se paragonato a quello del mafioso viveur, tutto occhiali Rayban, camice costose e belle donne che, tra storia e leggenda, ci ha tramandato in questi trent’anni di fuga. E se ne parlerà a lungo anche per le incredibili coincidenze temporali della cattura: esattamente il 15 gennaio del ’93 sempre i Ros arrestavano Riina assestando un colpo durissimo alla deriva terroristica che pochi mesi prima si era inserita con la mattanza di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nelle dinamiche politiche al massimo livello.

Sarà difficile spiegare a chi non c’era o non ricorda cosa è stata la deriva terroristica di “Cosa nostra” di cui Messina Denaro è stato tra i più fedeli servitori, quel mondo non c’è più. Lui, figlio d’arte di don Ciccio, uno che è morto da latitante nel suo letto ed è stato fatto ritrovare esanime con il cappotto elegante addosso, è stato il trait d’union tra la mafia antica e quella sgargiante, tra i pizzini e Facebook, tra il governo feroce del territorio e grandi affari all’estero.

Con l’arresto di Matteo Messina Denaro viene catturato l’ultimo dei “Corleonesi”. Il boss di Castelvetrano era infatti alleato con i capi di “Cosa nostra” Totò Riina e Bernardo Provenzano. La sua figura è legata a cruenti omicidi di mafia, come quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, sequestrato a 12 anni, strangolato e poi sciolto nell’acido. Messina Denaro fu tra gli organizzatori del sequestro, ideato per costringere Santino a ritrattare alcune rivelazioni inerenti alla strage di Capaci.

Messina Denaro è legato anche a un’altra nota famiglia mafiosa palermitana, i Guttadauro di Brancaccio: la sorella di Matteo, Rosalia Messina Denaro, è sposata con Filippo Guttadauro, fratello del boss Giuseppe, detto “il dottore”, medico-boss che ha lavorato come chirurgo all’ospedale Civico di Palermo e recentemente arrestato.La presenza sul territorio siciliano di Messina Denaro emerge da numerosi blitz messi a segno negli ultimi anni in provincia di Trapani. Soprannominato “Diabolik” e “U siccu”, è sfuggito per decenni a tentativi di cattura, nonostante l’arresto di numerosi suoi fiancheggiatori.

“La testa dell’acqua” lo chiamavano alcuni dei suoi sodali, come a dire “l’origine di tutto“. Quello che è certo è che è stato arrestato il passato di una mafia di cui conosciamo molto, quasi tutto, e quel che manca solo Matteo Messina Denaro potrebbe rivelarlo. Ma se mai dovesse parlare è il presente che sarebbe utile conoscere. Perché se è vero che ha officiato l’assalto allo Stato, Messina Denaro ha incarnato la trasformazione da “Cosa nostra” a “Cosa Grigia” (per usare una felice espressione di Giacomo Di Girolamo, tra i più capaci giornalisti che si occupano di mafia), tornando a quel periodo in cui erano le relazioni a fortificare ed espandere l’organizzazione, non i mitra e il tritolo perché la mafia vive di consenso non solo di paura.

Ma come è diventata la mafia adesso non lo sa più nessuno.

Salvatore Giacalone

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