“Una punta di Sal”. La crisi dell’agricoltura a Mazara del Vallo

Il dott. Mario Tumbiolo spiega la crisi dell’agricoltura e della vitivinicultura, in particolare nel territorio mazarese

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
29 Agosto 2021 10:45
“Una punta di Sal”. La crisi dell’agricoltura a Mazara del Vallo

Storie di feudi, di sudori nei campi assolati, di miserie e di soperchierie. “La roba è mia e guai a chi la tocca”. Giovanni Verga le racconta nelle sue “Novelle” ed in particolare nella “Roba”. E’ la storia di Mazzarò, un uomo molto piccolo che di grosso aveva solo la pancia, era ricchissimo ma mangiava solo due soldi di pane al giorno; l’unico suo vanto era un cappello di seta nera. Non aveva vizi: non beveva, non fumava, non amava le donne, non amava il giuoco delle carte. Di una sola cosa si dispiaceva Mazzarò: ormai stava diventando vecchio e la terra la doveva lasciare li dov’era. Quando gli venne detto di abbandonare la sua roba egli uscì di casa e, ammazzando con un bastone tutti i suoi tacchini, gridò: "Roba mia, vientene con me!".

Partiamo da questo racconto per raccontare l’agricoltura in Sicilia e, in particolare a Mazara del Vallo. Il paesaggio agrario della Sicilia nel secondo dopoguerra era ancora dominato dalle grandi proprietà terriere. Il movimento agrario, incentivato dal decreto Gullo del 19 ottobre 1944 che distribuiva i terreni incolti o mal coltivati a cooperative di contadini, si oppose a questo sistema attraverso l’occupazione dei latifondi. Gli agrari si difesero utilizzando vie legali, ma non solo.

Articoli giornalistici del tempo descrivono il patto agrario-mafioso messo in atto per reprimere questa mobilitazione ma anche le uccisioni dei dirigenti del movimento contadino Placido Rizzotto e Giuseppe Maniaci. Mazara del Vallo partecipò a quelle lotte contadine e la storia di questa città parte proprio dalla sua economia agricola. Un tuffo tra passato e presente. La fotografia di una città che ha avuto nell’agricoltura e nella vitivinicultura le sponde della ricchezza disegnando la configurazione sociale ed economica tra i due secoli, abdicata a metà degli anni del secolo scorso, alla pesca.

La popolazione era cresciuta nel cinquantennio 1861-1911 da 11.068 a 25.251 abitanti e tanto i contadini quanto i proprietari terrieri non vivevano nelle campagne ma vi si recavano giornalmente. Il problema dell’aria malsana generata da numerose zone paludose costituiva un serio ostacolo alla colonizzazione degli ex feudi e la malaria, prima che i lavori di bonifica – invocati per diversi decenni e fino agli anni cinquanta del secolo successivo – diventassero risolutivi, colpì un’elevata percentuale di lavoratori agricoli.

L’economia della città, alla vigilia della prima guerra mondiale, si fondava sull’industria vitivinicola pur con i duri colpi subiti dal settore per causa delle malattie della vite e delle crisi commerciali, ma rispetto alla vicina Marsala, non era preponderante e poteva contare su altre attività che si erano andate sviluppando. In primo luogo l’estrazione della pregiata calcarenite (pietra tufacea) che abbondava nelle cave del territorio e la ben più agevole asportazione della sabbia fine silicea dai vasti giacimenti esistenti.

Entrambe queste due risorse rappresentavano una voce importante dell’export da fine Ottocento in avanti. Le produzioni della lana e del cotone – di cui Mazara vantava estese piantagioni – tenevano in vita l’industria tessile con il 68% dei telai familiari esistenti in tutta la provincia. La pastorizia non era da meno, collocandosi al terzo posto per produzione dopo quella di Erice e di Castelvetrano. La marineria da pesca non era ancora diventava centrale e trainante come nei decenni successivi alla Grande Guerra, ma vantava già un cospicuo numero di addetti che si contendeva la produzione ittica in un crescente conflitto tra metodi tradizionali e sistemi sempre più evoluti che consentivano risultati maggiormente fruttuosi: per esempio, l’impiego delle paranze che praticavano la pesca con le reti a strascico.Le tensioni sociali tra i principali gruppi della marineria, che si protrassero per anni, trovavano temporanee tregue nei provvedimenti sospensivi concordati con l’amministrazione comunale, ma gli interessi in gioco diventavano sempre più forti.Come notava il consigliere comunale Sciplino nel 1903: «la pesca delle sardelle e il salato che se ne costituisce un cespite considerevolissimo d’industria marittima e commerciale».

E dagli anni venti del Novecento con la motorizzazione dei primi pescherecci, la marineria mazarese avvierà la sua crescita esponenziale caratterizzando in modo determinante l’economia della città. Proprietari terrieri si sono trasformati in commercianti di pesce ed hanno abbandonato o venduto centinaia di ettari di terreno ai marsalesi. E l’agricoltura e a vitivinicultura? C’è stata la voglia di coltivare i campi ed il vigneto ma poi il mercato non tirava e i costi salivano. In molti hanno preso i contributi europei per sostituire le vigne in coltivazioni più remunerative.

Che l’Agricoltura e il comparto vitivinicolo in Sicilia e quindi anche a Mazara ed il suo territorio, potrebbero essere il fiore all’occhiello della economia isolana – spiega il dottore Mario Tumbiolo, presidente dell’Associazione “Strade del Vino e dei Sapori Val di Mazara” - è ben palese a tutti, viceversa non è ancora ben chiaro ciò che andrebbe fatto per il suo pieno sviluppo e che senza la giusta mentalità e un corretto modus agendi si rischia di vanificare le potenzialità di un patrimonio mai pienamente sfruttato e di cui la nostra terra è naturalmente dotata e che tutti ci invidiano”.

Tumbiolo spiega la crisi dell’agricoltura e della vitivinicultura dopo avere esaminate le diverse dinamiche. “Le principali criticità – dice - andrebbero ricercate nella prevalenza della piccola proprietà, 3 aziende su 4 coltivano meno di 5 ettari di terra, nella scarsità di strutture materiali e immateriali, nel basso livello di meccanizzazione nelle campagne, nella scarsa volontà ad aggregarsi per fare filiera accrescendo di riflesso il potere contrattuale di tutto il comparto, spesso affidando incautamente a singole e scollegate iniziative politiche commerciali e di marketing che andrebbero delegate a professionalità e strutture dotate della dovuta competenza.L’Agricoltura siciliana ha una sua specificità legata a contenuti immateriali quali la ruralità antica, la finalità conviviale del pasto, la biodiversità, la dieta mediterranea, il brand Sicilia”.

Ed allora che fare? “Bisogna coniugare senza esitazioni tradizioni ed elementi innovativi con strumenti moderni, all’avanguardia, come la digitalizzazione, le nuove forme di comunicazione di massa, il marketing dell’accoglienza, il Food Urban Planning, ovvero la pianificazione economica del cibo con una visione strategica di grande respiro e impatto e della ipotesi di realizzare un Piano Regolatore delle Città del Vino”. I giovani sono tagliati fuori? “Assolutamente.Occorre fare avvicinare i giovani alla Agricoltura, a livello nazionale la loro presenza è aumentata del 12%, tra le new entry la metà è laureata, il 57% ha fatto innovazione, ma soprattutto il 74% è orgoglioso del lavoro fatto e il 78% è più contento di prima (fonte Coldiretti), tutto a condizione che si produca reddito, magari attraverso la implementazione anche di colture alternative (avocado,melograno, banane,papaya)”.

In questo scenario quale il ruolo delle istituzioni e della politica? “Lo ha detto l’ex Presidente degli Stati Uniti Barack Obama: la  Politica ha il compito di dare ai piccoli produttori la forza di pensare da grandi imprenditori. Così si aprono le porte a un nuovo ceto medio che produce benessere e qualità”.

Salvatore Giacalone

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