Ultime della sera: “Tutti da Antonio il sabato sera. E non solo il sabato”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
21 Ottobre 2020 18:12
Ultime della sera: “Tutti da Antonio il sabato sera. E non solo il sabato”

Non so se vi capita mai di sbirciare quegli idioti quiz televisivi, dove inconsapevoli malcapitati concorrenti si sentono rivolgere domande talmente facili da fare una pessima figura in ogni caso: se le azzeccano perché poi gli tocca pure avere il coraggio di esultare, se le sbagliano perché dovranno sparire dalla circolazione per un bel pezzo, in barba al quarto d’ora di celebrità che credevano di essersi conquistato. A questo pensavo quella volta che il presentatore di turno sottopose il seguente dilemma al tapino di turno: “E’ il titolo di un libro scritto da Eugenio Scalfari: “La sera andavamo in via Veneto” oppure “Al mattino prendevamo il cappuccino”??? Non chiedetemi quale fu la risposta perché la mia mente vagò subito altrove…su di noi che, invece, la sera andavamo al Gabbiano.

Chiunque ci sia passato se ne ricorda come di un’epopea. Invece durò poco, 5 anni scarsi, dal 1988 al 1993, da quando Antonio rilevò l’anziano genitore nella gestione, fino a quando realizzò non dico la sua vera vocazione, ma il suo grande desiderio di potersi dedicare ad una rispettabile professione sanitaria. Perché di Antonio certo non si può dire che fosse solo un barista; per questo il Gabbiano non era solo un bar. Allora cos’era? Un ritrovo? Nemmeno: ritrovo sa di habitué, mentre da li passava tutto un microcosmo, che poi tanto ‘micro’ non era, attratto come da un buco nero, però luminoso, gaudente, brillante, divertente! Varia, e variamente assortita, ovviamente, l’umanità che lo frequentava, che andava dalle brave “ragazze da marito”, per dirla come nell’ ‘800 (  e se di matrimoni lì se ne combinarono in quantità almeno altrettanti furono i fidanzamenti che vi si ruppero)  fino ai  ‘goodfellas’ in pausa ( erano ben altri tempi, per altri versi, e non ci si poteva fare niente ), che però, mai inquietarono un clima che sempre si mantenne gioioso, ridanciano, goliardico, secondo il galateo non scritto del Gabbiano, su cui sempre vigilò il sommo sacerdote Antonio.

Che, lo so, vorrebbe che ricordassi che pure Giovanni Paolo II passò da lì. D’accordo, c’è la foto, datata 8 maggio 1993, ma fu solo un caso, ed, Antonio, non mi risulta che il Pontefice scese dalla Papamobile per l’occasione! Forse, un po’ come i pub irlandesi ( ‘pub’, si sa, sta per public house’ ) il Gabbiano era una veramente una sorta di ‘pubblica casa’ per gli avventori; fortunatamente, all’epoca non esisteva ancora l’Agenzia dell’Entrate, altrimenti si sarebbe potuta risparmiare gran parte del servizio di notifica: sarebbe bastato mandarvi un galoppino ad intervalli regolari per rintracciarvi chiunque.

Ma era anche un po’ come la Trafalgar square di età vittoriana, quando a Londra si diceva: “ se devi incontrare qualcuno aspetta sotto la colonna di Nelson; prima o poi passerà da lì”. Mazara non era certo la grande Londra, ma, all’epoca, rappresentava una sorta di Las Vegas per un circondario che si spingeva fino a Palermo ed Agrigento; fare tappa al Gabbiano, prima o dopo qualunque cosa ci fosse da fare a Mazara, sia d’estate, che d’inverno, era d’obbligo. E da fare, a Mazara, allora ce n’era parecchio, dalle numerose discoteche a pieno regime, ai bowlings, ma anche ai locali che proponevano jazz e rock dal vivo di prim’ordine.

E se, a ben vedere, il pub di un villaggio irlandese è troppo piccolo per dare l’idea di cosa fosse il Gabbiano, ebbene, un giorno il bar pure quello diventò: era l’estate del 1990 e la Repubblica d’Irlanda s’era qualificata ai mondiali di calcio in Italia, finendo nel girone di Palermo: immagino che tutto l’Eire migrò a seguire la squadra perché non c’era albergo in Sicilia che non fosse pieno di irlandesi dai capelli rossi e gran bevitori di birra: quante se ne scolarono al Gabbiano, dove i tavolini subito si unirono ad affratellare clientela locale e forestiera, al suono d’improbabili cori siculo-gaelici! Io quella epopea la vissi dall’inizio alla fine, ma perdendomi gran parte di quel che ci fu nel mezzo: praticamente il meglio, per esempio l’invasione irlandese che ho citato perché me la raccontarono, continuamente, per filo e per segno: ed oggi mi tocca pure di scriverne, beffa suprema per me che lasciai la mia città con la morte nel cuore, nonostante la fortuna di essere stato tra i primi ad imboccare un sicuro avvenire, perché, partendo, lasciavo gli amici al Gabbiano! Un avvenire che mi portò lontano da casa, dove, alla fine di quella mitica estate del 1990, mi raggiunse Antonio, bisognoso di riposare e svagarsi, come lo ero del resto io; da lì raggiungemmo la Grecia, ove già si erano spenti gli echi dell’estate si erano spenti, essendo già ottobre; ma facemmo in tempo per un ultimo bagno a Skiathos, dove Antonio mi accennò dei suoi programmi per il futuro.

Programmi? Futuro? Ma come? E il Gabbiano? Che fine avrebbe fatto? Nessun programma per il bar? Nessun futuro? No. E proprio adesso che, mannaggia, stavo per rientrare a Mazara! Era la primavera del 1991, ed il Gabbiano andò avanti per un paio d’anni, come se nulla fosse. Giusto il tempo, per Antonio, di diplomarsi a pieni voti. Chiuse di colpo, in una brutta giornata autunnale, senza preavviso: quando si spegnerà l’Universo non credo sarà molto diverso. Fu buio e vuoto di colpo, il lungomare, che poi ci avrebbe messo un quarto di secolo a ripopolarsi.

E, nel frattempo, ma noi ancora non lo sapevamo, cominciava a morire pure la città Ma questa è un’altra storia. Noi, però, quegli anni li abbiamo vissuti! Danilo Marino

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