Ultime della sera: “Tutti a cena da don Mariano”

Redazione Prima Pagina Mazara
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30 Gennaio 2021 19:03
Ultime della sera: “Tutti a cena da don Mariano”

di Domenico RIPA Don Mariano è un mafioso di come ce ne sono stati tanti. Questo don Mariano però è uscito dalla penna di Leonardo Sciascia, ed è il capomafia de “Il giorno della civetta”. “Tutti a cena da don Mariano” invece è il saggio di Massimo Onofri che cerca di indagare il misterioso rapporto tra Mafia e Letteratura. Argomento difficilissimo da trattare. Nel suo saggio Onofri elenca alcuni sbalorditivi casi in cui i protagonisti della vita reale prendono a prestito dai personaggi della letteratura, sentimenti, moniti e modi di dire.

Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa si identifica con il capitano Bellodi, il protagonista de “Il giorno della civetta”. Giovanni Falcone nel libro scritto con Marcelle Padovani, parla di Tommaso Buscetta con un rispetto simile a quello che Bellodi esprime, pur nella radicale distanza, nei confronti del capomafia don Mariano Arena. Totò Riina nel primo confronto con il pentito Gaspare Mutolo, gli dà, citando ancora una volta don Mariano, del quaquaraquà, non disdegnando di paragonarlo, riferendosi ora al Beati Paoli, a Matteo Lo Vecchio, la spia che tradì i membri dell'organizzazione segreta.

Quando i giudici gli fanno notare che nel romanzo la spia viene uccisa, interpretando così l'accenno come una minaccia, la stupefacente risposta di Riina è quella di aver letto il libro solo a metà. In sostanza Onofri sembra suggerirci che il Don Mariano di Sciascia offra “da mangiare” e alimenti il lessico di molti protagonisti della vita reale. Ma a ben vedere forse anche altri scrittori. Mario Puzo l’autore del “Il Padrino” scrisse il suo capolavoro nel 1969, probabilmente dopo aver letto “Il giorno della Civetta” (che ricordiamo è uscito nel 1961) o quantomeno dopo averne constatato il successo letterario.

Senza voler sminuire il magistero di Leonardo Sciascia si vuole evidenziare come la sua opera principale venga aspramente criticata ed egli stesso venga accusato (anche recentemente nel giorno del centenario della sua nascita) di essere un cattivo maestro. Uno dei suoi più convinti accusatori è Sebastiano Vassalli che dice: “I suoi mafiosi hanno una oscura e contraddittoria grandezza. I mafiosi veri, i Liggio e i Riina, sono lontanissimi dall’idealizzazione che ne ha fatto Sciascia. È vero: detestano i comunisti e gli scandali, ma non sono per niente affascinanti, sono personaggi di grande bassezza morale, incarnano una regressione quasi biologica verso stadi umani premoderni.

Nessuna persona lucida e capace di leggere in profondità il reale potrebbe mai innamorarsi di personaggi simili. È questo il mistero degli scrittori siciliani, compreso Sciascia. I mafiosi non hanno nessuna oscura grandezza, sono poveri uomini di mille anni fa. I mafiosi raccontati da Sciascia, invece, sono avvolgenti, sono un po’ Totò Riina, un po’ Sciascia stesso. Per questo mi sembra indiscutibile la sua compromissione letteraria.” Anche Andrea Camilleri dice la sua, in una intervista rilasciata a Silvia Truzzi per “il Fatto Quotidiano” del 20 novembre 2009: “… “Il giorno della civetta” è uno di quei libri che non avrei voluto fossero mai stati scritti.

Ho una mia personale teoria. Non si può fare di un mafioso un protagonista, perché diventa eroe e viene nobilitato dalla scrittura. Don Mariano Arena, il capomafia de “Il giorno della civetta”, giganteggia. Quella sua classificazione degli uomini – omini, sott’omini, ominicchi, piglia ‘n culo e quaquaraquà – la condividiamo tutti. Quindi finisce con l’essere indirettamente una sorta di illustrazione positiva del mafioso e ci fa dimenticare che è il mandante di omicidi e fatti di sangue.

Questi sono i pericoli che si corrono quando si scrive di mafia. La letteratura migliore per parlare di mafia sono i verbali dei poliziotti e le sentenze dei giudici. Saviano è riuscito a dimostrare che si può scrivere un libro – non un romanzo perché è una cosa diversa – e mostrare la camorra per quello che è. Ma è un caso isolato.” A 60 anni dall’uscita de “Il giorno della civetta” c’è da chiedersi se Don Mariano faccia ancora inviti a cena e a 32 anni dalla morte se Sciascia abbia svolto fino in fondo e completamente i suoi compiti di scrittore.

Compiti magnificamente descritti da John Steinbeck nel discorso che fece nel 1962 in occasione della cerimonia in cui gli venne consegnato il Premio Nobel: “L’antico mandato dello scrittore non è cambiato: egli ha il compito di esporre i nostri numerosi, dolorosi difetti e fallimenti, di dragare l’animo umano portandone alla luce i sogni oscuri e pericolosi, affinché possiamo migliorarci. D’altro canto, lo scrittore è delegato a dichiarare e celebrare la provata capacità umana di grandezza di cuore e d’animo, di dignità nella sconfitta, di coraggio, compassione e amore.

Nella guerra infinita contro la debolezza e lo sconforto, sono queste le splendenti bandiere da sventolare per incitarci alla speranza e all’emulazione.”   La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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