“Contraddittoria ed estrema” la Sicilia secondo Sciascia. Ma la si può ancora definire così? Per trovare alcune risposte è necessario andare lì dove questa caratteristica è ancora evidente e cioè nei luoghi di culto in cui le due facce della stessa medaglia convivono e sembrano essere aggettivazioni pertinenti. Uno dei momenti in cui le due caratteristiche si ritrovano quasi intatte è ancora la festa di San Giorgio a Modica. Da un lato la devozione popolare, corale, che dichiara appartenenza di confini anche fisici.
Il santo cavaliere a metà tra mito e leggenda è garante di una intera comunità che in esso si identifica. “Viva San Gioggiu!” tuona qualcuno nei giorni della festa, risponde sempre qualcun altro da qualche angolo delle strade intrecciate della città alta! Convive insieme a questo aspetto quasi goliardico l’intima devozione ai piedi della statua alla quale il credente si rivolge in rispettoso silenzio poco prima delle numerose messe che si susseguono da quando iniziano i festeggiamenti per colui che è considerato essere il patrono della città.
Considerato da chi? Naturalmente dai devoti di Modica Alta: i “cavaddari”. Perché quelli di Modica Bassa, i “tignusi” pur onorandolo in quanto esponente di santità, ritengono san Pietro detentore del primato del titolo di patrono. Entrambi dimenticano che la Madonna Protettrice Maria delle Grazie è la vera patrona dell’intera città. Ma per i “cavaddari” il problema è superato dal momento che una antichissima novena lo incorona da tempi immemorabili: “Lu priamu cu gran tonu e San Giorgi è lu patronu”.
La ballata racconta la storia di San Giorgio e si intreccia con il “cuntu”. Entrambi ricordano la figura del santo a cavallo e in entrambi si fa riferimento ad una storia d’amore risolto nella rinuncia e glorificato in Dio: quello del cavaliere e Santa Margherita. “Contraddittoria ed estrema” la Sicilia, dicevamo. Estremo è l’atteggiamento di devozione che si respira stando a contatto coi fedeli e in particolare coi portatori di San Giorgio. Quella dei Portatori è una associazione che conta più di duecento iscritti che vanno dai “due ai sessanta anni” – afferma Peppe Lucifora, uno di loro.
Ma in fondo, si nasce portatori e si muore portatori di San Giorgio. Già, perché “portatore” è una condizione che si eredita. Di padre in figlio, e i più anziani, nonostante l’età, seguono la processione, consigliano, partecipano finché possono al rito popolare. Li trovi in chiesa nei giorni che precedono la festa, perché la devozione non si esaurisce nella cavalcata ma è lì che esplode in tutta la sua forza, anche fisica. La statua infatti è pesantissima e cinquanta almeno sono i portatori ai quali viene dato il cambio da altri durante il tragitto.
Ma quando inizia la festa? A precisare è Marco Borrometi: ultime della Sera“la festa inizia la domenica di Pasqua dopo la messa del pomeriggio, perché noi portatori siamo devoti alla Madonna Vasa Vasa e ne riconosciamo il primato. Montiamo l’argano per spostare il simulacro dalla nicchia che lo custodisce tutto l’anno. L’argano rimane montato per tutto il periodo dei festeggiamenti fino a quando la statua viene riposta. Ad azionare il marchingegno antichissimo sono quattro dei portatori più anziani”. Giorgio Caruso, uno di loro aggiunge: “il mio compito è quello di azionare l’argano per permettere al simulacro di scivolare dalla nicchia.
Ho preso il posto di mio padre al capo delle staffe che sorreggono la statua durante la processione, ma aziono l’argano da quando avevo 14 anni. La cerimonia della Scesa della Statua prevede l’intonazione dell’inno a San Giorgio, del canto della Ballata di san Giorgio e della “carrica” di San Giorgio suonata dalla Banda cittadina. Secondo gli accordi col sacerdote dopo aver riposto San Giorgio a lato dell’altare maggiore dovremmo concludere le pratiche per l’uscita del Santo ma la tradizione vuole che i portatori prendano la statua e la portino in spalla fino al Castello, poi un giro della chiesa e solo infine la posino.
È sempre così! Subito dopo andiamo in sacrestia dove consumiamo un altro rito antichissimo: le signore della Parrocchia preparano le uova sode e i “piretti” e le mangiamo li dentro tutti insieme. L’atmosfera è un crescendo di gioia di passione dal momento in cui lo scendiamo al momento della cavalcata nella chiesa, che rappresenta il culmine della festa, al momento in cui lo riponiamo nella nicchia. E le differenze di stati d’animo si sentono chiare: l’emozione per l’uscita e la gioia della cavalcata si contrappongono alla mestizia con la quale lo riponiamo”.
Durante tutto il periodo che intercorre tra la scesa del santo e la deposizione si susseguono tutta una serie di micro eventi che da un lato rafforzano il senso della festa e dall’altro rappresentano rituali di gruppo. È così per la vestizione della chiesa, per esempio, in cui pochi intimi sono chiamati ad addobbare, con drappi e tappeti rossi che rappresentano il martirio, la basilica di San Giorgio. Anche in questo caso sono i portatori ad addobbare la chiesa, la sera prima della vera festa: il 23 aprile.
“Domani alle 12 saliremo in sei sul campanile a suonare a mano le campane – si prepara Giorgio Caruso – di solito vengono suonate con un sistema elettrico ma il giorno di San Giorgio le suoniamo come facevano i nostri padri a mano. Io suono Giorgia”. Già, le campane hanno tutte un nome, e tra le sei Giorgia è la campana più ambita. Ricordiamo le altre però: Ciciliu, Ippolita, Concetta, Lucia, e Barbara.
Naturalmente la vera festa è quando i portatori portano il santo in processione. I percorsi variano ogni anno ma fondamentali sono alcune poste: il Castello, santa Teresa, San Giovanni. Da qualche anno si è ripristinato l’uso di portare la statua all’interno di santa Margherita. Si noti che la chiesetta è così piccola che possono entrare solo i portatori. In passato si ricordano anche fatti di pura goliardia: “un anno mio padre con alcuni portatori rubarono la statua di San Giorgio e la portarono in piena notte a San Giovanni dove il giorno dopo fu trovata davanti all’Addolorata” – ricorda la signora Agosta – mio padre era tra i portatori il più anziano ed era quello che teneva le redini e li guidava.
Il suo ruolo era, ed è, il più delicato perché guida i portatori specialmente nelle curve. La sua stazza è la più imponente e deve essere molto alto. La processione del capo dei portatori è fatta tutta a ritroso per permettergli di guidare tutto il gruppo dei portatori. Tra loro poi i capo fila sono quelli che procedono anche loro a ritroso e seguono le indicazioni del capo, di colui che appunto tiene “i uccula”, le redini”.
di Marcella BURDERI
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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