“Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare.” È proprio la penna di Andrea Camilleri a descrivere in “la gita a Tindari “ una delle specialità tradizionali siciliane che più in assoluto adoro per il suo gusto intenso che racchiude tutta la tradizione siciliana e tutto quello che i vari popoli colonizzatori hanno lasciato a questa terra ricca di arte, cultura e sapori.
Un piatto, la caponata, esempio perfetto per la propria essenza, capolavoro di emozioni, sintesi perfetta di contrasti ed eleganze vellutate. Dolce e agra, voluttuosa e pungente, croccante e vellutata. Un boccone di questa delizia e inizia il viaggio in una cultura fatta di contrasti e altrettanti equilibri. Nutrirsi significa anche questo: sondare le radici profonde di un popolo, coglierne le tradizioni e riconoscere la loro semplice, secolare saggezza. I Monsù, rielaborarono una particolare salsa agrodolce (basata su concetti filosofici di armonia ed equilibrio), che aveva origini preislamiche.
Le melanzane fritte sono l’ingrediente che, nella cucina povera Siciliana, andava a sostituire i tocchetti di capone fritto (pesce lampuga) che soltanto i più ricchi potevano permettersi. La “caponata dei poveri”, sostituiva semplicemente il pesce con l’ortaggio. Ma ciò che determina veramente la riuscita della caponata però dipende esclusivamente da un elemento, che poi è il fondamento stesso del senso filosofico di questo piatto e dell’essenza più profonda della sicilianità: l’agro dolce.
Se questo riesce a raggiungere l’armonia perfetta, l’equilibrio tra i contrasti, la caponata sarà il capolavoro, ma è solo un fatto di ….magia! La nota determinante di questa sinfonia di gusto e magia è qualche foglia di basilico spezzettata da sempre associato alla sacralità. Per gli antichi Greci e Romani, il basilico era considerato “simbolo diabolico”. Plinio il Vecchio gli attribuiva addirittura capacità di generare stati di torpore e pazzia. Nel medioevo, la pianta utilizzata per guarire le ferite, ma ha mai perso nel tempo del tutto la sua aurea magica.
Boccaccio, nel Decamerone, ci narra la storia di Elisabetta da Messina che seppellì la testa del suo amato Lorenzo, barbaramente assassinato dai gelosi fratelli di lei, in un grande vaso di basilico che innaffiava tutti i giorni. Non è un vezzo nella caponata l’uso del Cacao - arrivato dall'America Ispanica - aromatizzato con cannella e menta, che accarezza il palato ma una necessità reale quando ancora non c’era il frigorifero. Il cacao è di fatto uno degli stabilizzati e conservanti più antichi usato.
Ogni città o paese della Sicilia ha una sua particolare interpretazione di questo piatto tipico tra i più conosciuti al mondo ma anche tra quelli più ricchi di misteriose varianti. Una di queste degna di menzione è quella con il tonno fresco, sbollentato ed tagliato a pezzettoni. Su una cosa però concordano tutti, La caponata va mangiata fredda, il giorno successivo alla sua preparazione. Antonio Carcerano