Ultime della sera, Insegnare a imparare

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
23 Dicembre 2019 16:57
Ultime della sera, Insegnare a imparare

“Ci dicevano, insistevano, di studiare che da grandi ci sarebbe stato utile sapere le cose che a scuola andavamo a imparare che un giorno avremmo dovuto anche lavorare. E c’è chi è stato promosso, c’è chi è stato bocciato chi non ha retto la commedia ed è uscito dal gioco ma quelli che han studiato e si son laureati dopo tanti anni adesso sono disoccupati. Infatti mi ricordo mi sembrava un po’ strano passare quelle ore a studiare latino perché allena la mente a metter tutto in prospettiva ma io adesso non so calcolare l’Iva.

Io volevo sapere la vera storia della gente come si fa a vivere e cosa serve veramente perchè l’unica cosa che la scuola dovrebbe fare è insegnare a imparare. Io per mia fortuna me ne son sempre fregato non facevo i compiti, non ho quasi mai studiato ascoltavo dischi, mi tenevo informato cercavo di capire ed adesso me la so cavare. Perciò va pure a scuola per non far scoppiar casino studia matematica ma comprati un violino impara a lavorare il legno ad aggiustar ciò che si rompe che non si sa mai nella vita un talento serve sempre”.

Questa canzone di Eugenio Finardi tratta dall’album Diesel del 1977, che si chiama Scuola è stata per me, almeno per la prima parte della mia vita, una verità assoluta, infatti le mie scelte scolasti-che in larga parte provengono da li, ad esempio la scelta dell’Istituto Tecnico Commerciale piutto-sto che del Liceo, e proprio per imparare a calcolare l’IVA e non studiare il Latino. La scelta di abbandonare l’Università dopo appena 20 giorni, dopo essere stato seduto in una sedia per sciropparmi le 400 pagine del libro di Sociologia (che peraltro mi piaceva), ma da quella sedia mi dovevo alzare se volevo conoscere la vera storia della gente.

Certo non mi sono comprato un violino, ma una chitarra si, che assieme alla macchina fotografica ed al sacco a pelo ho girato il mio pezzo di mondo, per quello che ho potuto, facendo della strada un mio percorso scolastico personalizzato. Ma la frase che più mi rimane e senz’altro questa: “l’unica cosa che la scuola dovrebbe fare e insegnare a imparare”. Invece nella seconda parte della mia vita, cioè da 33 anni in poi, ho iniziato a rivedere alcuni aspetti, legati alla scuola, continuo a pensare che come dice Finardi la scuola deve insegnare a imparare, e che alcuni mestieri, e tra questi l’insegnamento siano veramente importanti, e sono da considerare una vera e propria missione.

Come secondo me sta facendo Lorella Carimalli docente al Liceo Scientifico Vittorio Veneto di Milano e finalista al Nobel dell’insegnamento, il Global Teacher Prize, che dice: "Io spiego, poi faccio esercitare subito i ragazzi. Lavorano a gruppi perchè si aiutino a vicenda, si correggono i compiti l’uno con l’altro. Se capiscono l’argomento sale la loro autostima ed è questo l’importante. Non devono ripetermi la lezione, solo i concetti astratti, ma imparare ad applicarli nella vita non è solo questione di insegnamento, ma di apprendimento.

Si cambia la prospettiva". La prof. per aiutare gli studenti in crisi ha messo in piedi un progetto multidisciplinare con alunni di classi diverse e con carenze di gravità differenti. Hanno scritto un testo teatrale sulla matemati-ca, ed alla fine sono stati tutti promossi: in fondo il teatro è progettare, pensare in astratto, mette-re in relazione. Parole come numeri e concetti per capire e costruire. E dice ancora: E’ impagabile ritrovarsi alunni che ti scrivono: grazie per avermi fatto vedere nuove terre, avermi insegnato a vivere.

Sono frasi che ti aspetteresti scritte ad un insegnante di filosofia. Ma la matematica è proprio anche questo: imparare a ragionare, a conoscere, a vivere nel mondo e poter scegliere in modo cosciente". Ricordo ancora la domanda che fece il professore di filosofia il primo giorno di liceo: "A che serve studiare? Chi sa rispondere?". Qualcuno osò rispostine educate: "a crescer bene", "a diventare brave persone". Niente, scuoteva la testa. Finchè disse: "Ad evadere dal carcere". Ci guardammo stupiti.

"L'ignoranza è un carcere. Perchè là dentro non capisci e non sai che fare. In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi, ma se scavalcate il muro dell'ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?”. Racconta Corrado Augias in un suo libro e dice: “Mi è tornato in mente quell'episodio indelebile leggendo che solo un ragazzo su venti capisce un testo.

E penso agli altri diciannove, che faticano ad evadere e rischiano l'ergastolo dell'ignoranza. Uno Stato democratico deve salvarli perchè è giusto. E perchè il rischio poi è immenso: le menti deboli chiedono l'uomo forte”. Allora per concludere qual’è la ricetta giusta tra questi vari esempi d’insegnamento? Questo non lo saprei dire con certezza ma siccome penso che la verità sta sempre in mezzo, pro-viamo a prendere il meglio di ogni azione formativa, sia tradizionale che innovativa ed arricchiamo sempre più il nostro bagaglio culturale, per non rischiare di portarci appresso pene difficili da sopportare, come quella dell’ergastolo dell’ignoranza.

Francesco Sciacchitano

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