di Domenico RIPA “La Vita è meravigliosa” è un film del regista la cui vita è stata meravigliosa: Francesco Rosario Capra, nato nel 1897 a Bisacquino in provincia di Palermo, 100% siciliano. Tre premi Oscar come miglior regista, secondo solo a John Ford (4 Oscar) e al pari di William Wyler. I natali di Francesco Capra, noto al mondo intero come Frank Capra, furono tristi. All’età di sei anni dovette emigrare negli USA con la famiglia perché in povertà. La stessa identica povertà (nonostante qualche decennio di differenza) di quella descritta in maniera straordinaria da Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: “Intravista nel chiarore livido delle cinque e mezzo del mattino, Donnafugata era deserta ed appariva disperata.
Dinanzi a ogni abitazione i rifiuti delle mense miserabili si accumulavano lungo i muri lebbrosi; cani tremebondi li rimestavano con avidità sempre delusa. Qualche porta era già aperta ed il lezzo dei dormienti pigiati dilagava nella strada; al barlume dei lucignoli le madri scrutavano le palpebre tracomatose dei bambini; esse erano quasi tutte a lutto e parecchie erano state le mogli di quei fantocci sui quali s’incespica agli svolti delle “trazzere”. Gli uomini abbrancato lo “zappone” uscivano per cercare chi, a Dio piacendo, desse loro lavoro; silenzio atono o stridori esasperati di voci isteriche; dalla parte di Santo Spirito l’alba di stagno cominciava a sbavare sulle nuvole plumbee.” La stessa identica povertà di quella d’altre parti d’Europa raffigurata magnificamente da Van Gogh ne “I mangiatori di patate” (in foto) del 1885.
I mangiatori di patate sono i contadini di una piccola città dei Paesi Bassi. Vivono in pessime condizioni. La vita è scandita dal duro lavoro. Il momento più importante della giornata e al contempo uno dei più intimi, è la cena. Per la paga bassissima le patate sono l’unico alimento possibile. Una piccola luce ad olio consente di vedere i duri lineamenti dei vari protagonisti. Ognuno di loro ha un’espressione triste, provata dal duro lavoro nei campi. Una donna, in posizione curva e visibilmente stanca, sta versando del caffè per tutti gli altri.
I colori scuri, marrone, nero, giallo e tonalità simili, rendono il dipinto rustico e nel contempo triste e duro. Le condizioni di vita che costrinsero la numerosa famiglia Capra ad emigrare nel 1903 erano come quelle descritte sopra. A Bisacquino vivevano nella piccola e misera casa di Via San Cono. La sera, con l’espressione triste provata dalla dura esistenza, mangiavano tutti insieme “pane e tumazzu”. Poi, fattasi l’ora, il capo famiglia ordinava il riposo notturno. Tutti andavano a dormire.
Ognuno prendeva dal grosso armadio comune, l’unica cosa di personale che possedeva, non materasso o lenzuola, non coperte, ma solo il “chiumazzu” (cuscino) riempito con le piume delle oche spennate nei natali precedenti e pazientemente accumulate. Quel cuscino era tutto, sosteneva il capo per il riposo e dava alloggio ai sogni più belli. Francesco i suoi sogni li avrebbe meravigliosamente vissuti. Frank Capra sostenne sempre che la sua vita iniziò con la grande vista dell’oceano, rinnegando con questo i primi sei anni trascorsi a Bisacquino: «Quando partimmo da Palermo e arrivammo nell'oceano aperto, era una cosa così meravigliosa che tutta la memoria precedente era scomparsa.
Quello è il momento originario. Da lì parte la mia memoria». Tuttavia di quel periodo precedente, in seguito, ricordò solo due parole, le più significative: tumazzu e chiumazzu. La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com