Terremoto del Belìce, Una “ricostruzione imperfetta”. Il sisma che cambiò l’Italia e lo studio dei terremoti

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
14 Gennaio 2018 17:42
Terremoto del Belìce, Una “ricostruzione imperfetta”. Il sisma che cambiò l’Italia e lo studio dei terremoti

Sembra quasi uno scherzo del destino: la terra è tornata a tremare nel Belìce nel cinquantesimo anniversario del devastante terremoto del 14-15 gennaio 1968. Due lievi scosse sono state avvertite questa notte a Gibellina, uno dei paesi distrutti mezzo secolo fa.

La prima di magnitudo 1,4 è stata avvertita alle 1,49 e poi un’altra di magnitudo 1,8 a distanza di quasi circa tre ore, alle 4,47. Le due scosse, a una profondità di 11 chilometri. L’epicentro è stato registrato precisamente a 3 km est da Gibellina. Le scosse sono state registrate dagli apparati strumentali dell'Ingv, l'istituto nazionale di geologia e vulcanologia.

Ma ritorniamo a parlare di quel terremoto che a metà del gennaio 1968 sconvolse l’Italia ( e non solo) e che secondo le stime della Protezione Civile, procurò la morte di 296 persone: fu il primo grosso terremoto dalla fine della guerra.

Interessante un articolo pubblicato nella sezione “Terra & Poli” dell’Ansa dove si legge: “E' stato un terremoto devastante quanto insospettabile, quello che 50 anni fa ha scosso il Belice. Cronache e documenti storici, che allora erano l'unica fonte per stabilire la sismicità di un'area, non avevano mai riportato notizie di terremoti nella Valle del Belice. Invece il 14 e 15 gennaio 1968 una serie di scosse cominciò a sconvolgere la zona compresa tra le province di Trapani, Agrigento e Palermo. La più forte, di magnitudo 6,4, arrivò in piena notte; un’altra molto potente ci fu il 25 gennaio. Lo sciame sismico andò avanti fino al febbraio del 1969".

"Una spiacevole scoperta per la comunità scientifica dell'epoca", ha detto il sismologo Raffaele Azzaro, dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) di Catania. "Fino al 1968 cronache e documenti storici non avevano mai segnalato eventi sismici rilevanti - ha aggiunto - e la Valle del Belice era considerata una zona tranquilla". Con il terremoto del 14 gennaio 1968 è cambiato tutto: "quell'evento tragico ha fatto prendere coscienza di come il territorio italiano avesse aree silenti dal punto di vista sismico".

Il terremoto in Friuli del 1976 e quello in Irpinia del 1980 hanno poi mostrato chiaramente l'urgenza di "aprire nuovi fronti di ricerca nazionali finalizzati a caratterizzare la pericolosità sismica in Italia". Ci si rese conto che i sensori erano pochi e si trovavano solo nelle gradi città o dove c'erano osservatori meteorologici installati fin dall'800. Così l'allora Istituto Nazionale di Geofisica (Ing) cominciò a installare i primi sensori sul territorio italiano.

Era l'embrione della Rete sismica nazionale che oggi comprende quasi 400 stazioni di rilevamento, tra fisse e mobili, gestita dell'Ingv.Si sono fatti passi da gigante anche grazie all'arrivo di nuove tecnologie, come le misure Gps e i satelliti radar che permettono di evidenziare le deformazioni della crosta terrestre causate dai terremoti. "Numero e qualità delle stazioni sismiche è aumentato in modo impressionante: questo - ha detto ancora Azzaro - consente di rilevare terremoti di magnitudo bassissima e di raccogliere dati utili a ricostruire il meccanismo all'origine dei terremoti" e, con esso, "il grande puzzle che descrive come si frattura la crosta terrestre su piccola e grande scala".

Anche l'archeologia vista con gli occhi dei sismologi (archeosismologia) ha aiutato a ricostruire i terremoti del passato: orientamento dei crolli, analisi di sedimenti e monete, ad esempio, hanno permesso di stabilire che nel 300 avanti Cristo un terremoto aveva danneggiato Selinunte, poco distante dalla Valle del Belice.

Nel tempo, infine, si è capito che in quest'area i terremoti vengono scatenati da almeno due meccanismi, legati fra loro come scatole cinesi. Da un lato c'è quello generato dallo scontro tra la placca africana e quella euroasiatica, che causa una compressione. Nel canale di Sicilia è invece attivo un meccanismo di tipo estensivo, nel quale cioè la crosta terrestre viene 'stirata' e in questo modo comprime la fascia che da Castelvetrano e Marsala arriva alla Valla del Belice.

I paesi più colpiti dalle scosse del terremoto di 50 anni fa furono Gibellina, Salaparuta, Santa Ninfa, Montevago, Partanna, Poggioreale e Santa Margherita Belice. Dopo le scosse del pomeriggio del 14 gennaio molte persone decisero di dormire all’aperto, riducendo così il numero di vittime della scossa che avvenne nella notte del 15.Il 90 per cento degli edifici delle località colpite subì danni irreparabili. Per queste ragioni il paese di Poggioreale, in cui abitavano circa quattromila persone, fu abbandonato e ricostruito alcuni chilometri più a valle.

Anche Gibellina fu abbandonata e ricostruita, ma divenne anche un importante centro per l’arte contemporanea perché il sindaco Ludovico Corrao chiese di ricostruire il paese a decine di artisti, letterati e architetti di fama mondiale. Le macerie del centro abitato della cittadina originale furono trasformate in un monumento, il Grande Cretto, da Alberto Burri, che le ricoprì di cemento preservando la struttura di quelle che un tempo erano le strade del paese. È una delle opere di land art più grandi al mondo.

La ricostruzione in ogni caso non avvenne nel migliore dei modi, tanto che ancora oggi alcuni edifici non sono stati ristrutturati, e le istituzioni furono criticate per la gestione dell’emergenza. Tra le persone critiche degli interventi di ricostruzione e delle loro lentezze ci fu il sociologo e attivista Danilo Dolci che nel marzo del 1970, per 27 ore, parlò delle condizioni degli abitanti del Belice attraverso la prima radio libera italiana, Radio Libera di Partinico, e inventò lo slogan «La burocrazia uccide più del terremoto». Secondo le critiche fatte alle opere di ricostruzione il problema principale fu che nei progetti non si tenne conto delle necessità degli abitanti del Belice.

Nel 1976 ancora 47mila persone abitavano nelle abitazioni provvisorie allestite dopo il terremoto, di fatto delle baracche; le ultime rimaste furono demolite solo nel 2006. Visto che la ricostruzione non avvenne in tempi rapidi e in modo efficace, molte persone lasciarono la valle del Belice per andare a vivere altrove: già il 29 gennaio 1968 diecimila persone se ne erano andate. Per questo i paesi della zona, da cui già c’era una grande emigrazione per via delle scarse possibilità economiche, si spopolarono ulteriormente.

Una cosa che si sa poco del terremoto del Belice è che fece cambiare il nome dell’area in cui avvenne: come ha spiegato il Giornale di Sicilia, la pronuncia originaria del nome della valle era “Belìce”, mentre per via dell’influenza dei giornalisti non siciliani che parlarono del terremoto, oggi la si chiama “Bélice”.

La Redazione

14-01-2018 18,00

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