E’ costellato di continui cambi di versione il caso del 41enne mazarese Biagio Foderà, appuntato della Guardia di finanza in servizio a Castelvetrano, sotto processo, a Marsala, per lesioni personali gravissime in danno della moglie (Antonia Castelli).
Quest’ultima, per oltre cinque anni, ha negato che sia stato il marito a picchiarla, provocandole la rottura della milza, poi asportata in ospedale, affermando di essere caduta accidentalmente in casa, a Mazara. Lo scorso giugno, però, si decide a parlare. Prima si reca alla caserma della Guardia di finanza di Castelvetrano, denunciando il coniuge per presunte vessazioni e angherie.
Poi, va alla Procura di Marsala e racconta quello che sarebbe realmente accaduto il 12 gennaio 2010, dichiarando che, dopo avere detto al marito di avere una passione per un altro uomo, un cardiologo di Mazara, sarebbe stata presa a calci e pugni, mentre le due figlie piangevano dietro la porta della camera da letto, chiusa a chiave. Pochi giorni dopo, però, la donna ha ritrattato tutte le accuse mosse al marito. Il 10 novembre, intanto, nel processo a Biagio Foderà, il giudice Sara Quittino dovrà decidere sulle eventuali richieste del pm, che probabilmente chiederà di ascoltare la Castelli e il cardiologo.
Nel processo, per favoreggiamento, sono imputati anche due cognati del finanziere, Elisabetta Ferreri e Pietro Titone. Per l’accusa, avrebbero cercato di coprire le responsabilità del Foderà. Pare, per evitare ai figli le traumatiche conseguenze di una eventuale separazione dei genitori. I parenti, insomma, avrebbero cercato di porre un velo sulla vicenda per “proteggere” i due figli della coppia.
Un comportamento omertoso, il loro, che secondo gli inquirenti è contraddetto proprio dalle conversazioni telefoniche intercettate dagli inquirenti. Riferendosi a Foderà, infatti, Vincenzo Castelli, fratello di Antonia, dice: “Lui si deve vergognare di portare la divisa”, mentre l’altro fratello, Antonino, afferma che “lo ammazzerebbe”. Poi, una serie di telefonate per concordare la versione da fornire agli inquirenti. Il padre della donna, inoltre, proprio per evitare di essere intercettato, si sarebbe recato al nord Italia, dove vivevano altri familiari, per concordare con loro la versione da fornire a chi stava investigando sul caso. I genitori avrebbero detto ai figli: “Negate tutto”. A far scattare l’inchiesta fu un esposto anonimo.
A.P.
07/10/2015
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