Pochi giorni fa, il 28 marzo, è venuto a mancare prematuramente il prof. Giovanni d’Alfio, una persona oltre che molto conosciuta in Città anche abbastanza stimata per il suo impegno politico. In particolare in molti lo ricordano come il sindaco eletto con il nuovo sistema elettorale, cioè direttamente dai cittadini e non dal Consiglio comunale, e per il suo integerrimo operato amministrativo dal luglio 1995 al giugno 1999.
Ma Giovanni D’Alfio è stato anche il primo sindaco eletto dopo il terremoto giudiziario, e politico, che porto nel 1993 allo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose e al commissariamento del Comune di Mazara del Vallo.
Due giorni dopo l'improvvisa scomparsa dell'ex sindaco, il 30 marzo, è stato il 25esimo anniversario di quell’operazione giudiziaria che costituisce un solco profondo nella storia politica della Città e che ha ancora oggi in molti la ricordano con un giudizio non certamente unanime considerato l’esito finale della vicenda.
Il terremoto del 7 giugno 1981 (un sisma di magnitudo 4.1, registrato dall'Istituto Nazionale di Geofisica, ed avvertito anche nell'Agrigentino), per fortuna non provocò morti, tuttavia i danni al patrimonio edilizio mazarese furono consistenti. (Dai dati forniti alla Camera dei Deputati, durante la seduta del 23 settembre dello stesso anni dal deputato nazionale del Pci Giuseppe Pernice, almeno il 60% degli edifici dei Comuni di Mazara del Vallo e Petrosino risultarono lesionati).
A Mazara del Vallo che subì diversi danni da quello strano sisma (furono circa 1.300 immobili da demolire a causa della grave compromissione delle strutture) furono destinati fondi statali. Ancora oggi si discute sulle cause di quel terremoto, in molti pensano infatti che fu provocato dai lavori di escavazione marina per l'installazione delle tubazioni dove far passare il gas metano proveniente dall'Algeria e che arriva presso la centrale del metanodotto di Capo Feto appena realizzata. Quello del 7 giugno 1981 fu un terremoto spesso considerato di "serie B" ma che privò tanta gente di una casa, vedi da qui la realizzazione del quartiere periferico di Mazara Due.
La magistratura nei primi anni '90 aprì un'inchiesta sui fondi statali assegnati dopo il terremoto, che portò il 30 marzo del 1993 a 14 arresti eccellenti tra i dirigenti dell'allora Istituto Bancario Siciliano e di amministratori del Comune di Mazara del Vallo, tutti accusati d' interesse privato in atti d' ufficio. Fu in quel periodo che si cominciò a parlare della provincia di Trapani come della "Svizzera dei mafiosi" per le connivenze fra colletti bianchi, politici, imprenditori e clan.
Oggetto dell'inchiesta fu la gestione di quei fondi, circa 300 miliardi di lire assegnati al comune di Mazara del Vallo dopo il terremoto del 1981 per la ricostruzione e messa in sicurezza di migliaia di edifici, molti del centro storico.
Secondo l' accusa, l'IBS, che gestiva il servizio di tesoreria per conto dell' amministrazione comunale, sulle somme depositate avrebbe pagato interessi inferiori di circa otto punti rispetto al tasso dovuto. Tutto ciò avrebbe arrecato alle casse municipali un danno valutato intorno ai 15 miliardi delle vecchie lire. Ciò fu possibile –secondo i magistrati- grazie "all' atteggiamento doloso dell' amministrazione comunale di Mazara del Vallo e a una possibile istigazione da parte dei responsabili della banca". Da parte del Comune invece si asseriva che quegli interessi maturati sarebbero serviti a rimpinguare le somme a disposizione per la ricostruzione post-terremoto.
L' inchiesta, -come si evince dall'archivio storico del Corriere della Sera- fu portata a termine dal procuratore Antonio Sciuto e dal sostituto Massimo Rossi, era stata avviata alcuni anni prima da Paolo Borsellino, con la collaborazione del dirigente del commissariato di Mazara, Rino Germana'. Quest' ultimo, nel settembre del 1992 scampò miracolosamente ad un agguato di mafia sul lungomare Fatamorgana, a Tonnarella. Fra le tante ipotesi fatte subito dopo quel tentato omicidio, c' erano anche le inchieste che Germana' aveva avviato sugli amministratori di Mazara.
A ricostruire la vicenda anche il quotidiano La Repubblica con un articolo “Gli interessi neri finivano ai politici” pubblicato proprio il 31 marzo 1993 che focalizza inizialmente la propria attenzione sul coinvolgimento fra gli altri di un allora noto consulente del Comune di Mazara per poi raccontare la vicenda. Ecco quanto si legge:
“Uno dei più noti e stimati docenti universitari di Palermo, il professor Guido Corso, ordinario di diritto amministrativo, è stato arrestato ieri mattina in una retata ordinata dalla Procura di Marsala assieme ad altri quattordici tra ex sindaci ed assessori di Mazara del Vallo e dirigenti dell' Istituto bancario siciliano. Il professor Corso, responsabile a Palermo del fronte del "sì" per il referendum, è finito in un' inchiesta avviata dalla Procura di Marsala su una "tangente" di 14 miliardi che due ex sindaci, Rosario Tamburello (Psi) e Ignazio Giacalone (Dc), sei ex assessori (tre dc, due pri e uno psdi) ed il presidente e i dirigenti dell' Ibs (56 dipendenti e una raccolta di 450 miliardi di lire), avrebbero gestito, lucrando su interessi "neri", relativi ad un deposito di 300 miliardi.
Il professor Corso ha ottenuto gli arresti domiciliari. Tutti sono accusati di interesse privato in atti d' ufficio. I 300 miliardi furono assegnati dal governo al Comune di Mazara del Vallo agli inizi degli anni Ottanta per la ricostruzione di alcune zone del paese danneggiate da un lieve terremoto del 1981. La somma venne "conservata" dal Comune nelle casse dell' Istituto bancario siciliano di Mazara del Vallo che avrebbe dato all' amministrazione interessi irrisori. La differenza tra il tasso di interesse "ufficiale" e quello "in nero", circa 14 miliardi, sarebbe stata accantonata dall'IBS che invece avrebbe dovuto accreditarla al Comune di Mazara del Vallo.
Il professor Corso avrebbe agevolato la gestione irregolare dell' Istituto bancario siciliano con un parere favorevole all'IBS del quale era anche consulente. L' inchiesta era stata avviata dall' allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, che incaricò la Guardia di finanza di svolgere gli accertamenti sulla Banca agricola di Marsala di cui era presidente Baldassarre Scimemi, che tra i suoi impiegati aveva un presunto boss, indicato dal pentito Rosario Spatola, Rocco Curatola”.
La retata conclusasi all'alba del 30 marzo 1993 impegnò decine d'agenti della Polizia di Mazara del Vallo e Trapani con la collaborazione del Gico di Palermo. In manette finirono il presidente, vicepresidente e direttore dell' istituto di credito, poi assorbito dal Credito Emiliano. Arresti anche per gli ex sindaci di Mazara del Vallo Rosario Tumbarello (Psi) e Ignazio Giacalone (Dc), per gli ex assessori Francesco Castelli, Giuseppe Colicchia, Giovan Battista Quinci, Pietro Vellutato, Gasperino Zaccaria, Vito Bruno e Vincenzo Calafato; un provvedimento giudiziario anche per l’allora ragioniere capo del Comune Giovanni Incandela la cui posizione venne stralciata dopo qualche mese.
Dopo un paio di anni, a seguito di un processo gli accusati furono assolti per non aver commesso il fatto. Lo Stato italiano dovette pagare grosse somme per il risarcimento del danno per ingiusta detenzione; al Comune toccò invece pagare le spese legali sostenute dagli stessi accusati.
Una vicenda che deve far molto riflettere anche alla luce dei futuri sviluppi politici-amministrativi della Città. Non vogliamo certamente esprimere giudizi sull’operato della magistratura in merito ai fatti contestati, sarebbe stata la stessa giustizia, sul quale è doveroso confidare, ad emettere le giuste sentenze, in un senso o nell’altro.
Però una riflessione con un interrogativo ci dovrebbe essere pur consentita: chissà che in quel clima storico-politico dell’Italia dei primi anni ’90, vedi al nord “mani pulite” (che portò alla sbarra un’importante fetta della classe politico-imprenditoriale del Paese) e al sud la stagione delle grandi stragi di mafia (culminate con i tragici attentati di maggio e luglio 1992 quando morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ed i loro agenti di scorta), un’ondata iper-giustizialista, ed emozionale considerata la forza esplosiva mediatica a seguito di quelle tragiche vicende, abbia pervaso tutte le procure italiane? Ovviamente in quel contesto vennero colpiti anche alcuni esponenti politici rei di essersi trovati al momento sbagliato nel posto sbagliato.
Ci chiediamo, parafrasando una nota canzone di Raf: cosa resterà di quegli anni ’90?
Al culmine di quelle vicende appena narrate si registrò anche la visita pastorale a Mazara del Vallo di Papà Giovanni Paolo II che con il noto “discorso del mare”, in quanto pronunciato sul lungomare san Vito, nel piazzale che oggi porta il suo nome (quello compreso fra la “passeggiata Consagra” ed il mare), toccò temi sociali di forte e inquietante contenuto. “Si avvertono –disse Wojtyla- i segni di forze occulte e di una crisi che sempre più va investendo i cardini ideali ed etici della società”. Nel suo discorso il Papa parlò del serio rischio che in quel contesto germogliasse “il seme dell’ingiustizia sociale, del disordine urbanistico ed ambientale, della disgregazione della famiglia, della droga, del degrado amministrativo e politico”.
Oggi a distanza di 25 anni –infine ci chiediamo- quale percorso è stato compiuto dalla Città e dalla sua "nuova classe politica" per tentare di combattere ed abbattere quei flagelli di cui parlava il Papà venuto dall’Est?
Nonostante tutto bisogna rimanere ottimisti. Da qui la scelta della foto di copertina di questo articolo: una raffigurazione su un pannello in ceramica posto all'ingresso di piazza Plebiscito, una figura, probabilmente un Satiro Danzante, che potrebbe rappresentrare il cammino della città e la sua proiezione verso il futuro non dimenticando gli insegnamenti della storia
Francesco Mezzapelle
05-04-2018
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