Il termine “asemico” significa "senza nessuno specifico contenuto semantico". La scrittura asemica è una sorta di calligrafia che “fa del segno un di-segno”, infatti ci ricorda i pittogrammi o gli ideogrammi e le sue influenze ci rimandano ai manoscritti illeggibili, ai graffiti preistorici, agli alfabeti non decifrati, agli scarabocchi dei bambini. Sono molti, e in tutto il mondo, gli artisti che “fanno uso” di questa forma di espressione. Scrive Nicolò D’Alessandro ne “La scrittura asemica come ricerca del nulla” (dal catalogo della mostra “A qualcuno piace asemic”, Palermo, Museo del disegno, 2023, a cura di Enzo Patti e Nicolò D’Alessandro) che “la scrittura asemica (...) è aperta a molteplici significati e per questa ragione assume il ruolo di un linguaggio universale, una specie di lingua comune (praticabile da tutti) che accomuna le varie lingue scritte con segni non significanti”.
Continua D’Alessandro (sempre nello stesso testo) che “gli artisti asemici (...) non vogliono uccidere la parola e il suo significato, ma la escludono, la ignorano, la rendono muta, modificandola in segni incomprensibili”. In questo ambito si muove, a Mazara del Vallo, la ricerca artistica del giovane Davide Ubaldini. La sua calligrafia non ha un inizio né una fine, a volte segue un tracciato vorticoso, altre volte si srotola come se fosse un tappeto in-finito, un kakemono e/o emakimono giapponesi, per intenderci. La scrittura asemica di Ubaldini ri-sente dell’arte e della storia della Città che gli ha dato i natali: c’è tutta l’influenza araba e normanna, corre sul filo della modularità barocca, sa delle “sottilissime” di Pietro Consagra. Ubaldini, con la stessa sapienza dei nostri vecchi pescatori, cuce le sue trame per lanciare le sue reti asemiche in un mare che è, da troppo tempo, diventato “non più solo mare” ma un’area geopolitica - segnata da disuguaglianze sociali, da regimi autocratici, da migrazioni di uomini e donne, da rilevanti interessi economici - dove si intersecano spinosissime contraddizioni.
Giacomo Cuttone