Secondo i dati in Sicilia un manager su quattro è una donna. Non siamo ancora alla parità di genere, ma la Sicilia appare come una delle regioni più “rosa” d’Italia. L’ultimo Rapporto donne di Manageritalia fotografa la situazione mettendo sotto la sua lente di osservazione il settore privato. E qui viene fuori la sorpresa: nella grande risalita delle donne in carriera la Sicilia si colloca nella testa di lista con una presenza del 25,5 per cento di donne che ricoprono ruoli dirigenti e manageriali.
Sono belle consolazioni. A volte stupefacenti, se pensiamo che la provincia di Enna ha il record nazionale di presenze di donne manager: 172 contro 127, un sorpasso incredibile se uno pensa alla situazione imprenditoriale ed economica di quella provincia. Anche se la strada da percorrere è ancora lunga, solo chi non conosce a fondo la complessità sociale della Sicilia può rimanere stupito. Bisogna considerare, però, che molte donne titolari di imprese sono soltanto delle prestanome al posto del marito o del congiunto.
Ma al di là di questi casi, tutti hanno sentito ripetere la frase, un po’ sessista, che in Sicilia gli uomini comandano e le donne decidono. E qualcuno ricorda la furiosa polemica che vide su fronti contrapposti i movimenti femministi e Leonardo Sciascia che sosteneva l’esistenza di un potente matriarcato siciliano, ferreo e feroce nel determinare soprattutto le dinamiche familiari. Sciascia portava ad esempio uno scrittore francese che aveva addirittura elaborato la teoria che la mafia era stata costituita tra uomini – ed era rimasta una “cosa nostra” tutta maschile – proprio in contrapposizione al matriarcato, trasferendo dentro la mafia dei termini come “famiglia”, “mammasantissima”, sottratti al dominio femminile.Di tempo ne è passato da quella polemica, i toni si sono attenuati, molte cose sono passate di moda, e sicuramente la condizione femminile è molto migliorata in Sicilia e nel resto d’Italia.
Ma adesso il positivo primato siciliano di donne manager esalta ancora una volta le qualità del mondo femminile siciliano. Guardando i dati del Rapporto donne di “Manageritalia” viene voglia di parafrasare e correggere quella frase che abbiamo sentito tante volte: gli uomini comandano, le donne decidono. Forse la verità è leggermente più profonda. Per troppi secoli, gli uomini hanno comandato anche se non sapevano decidere, a differenza delle donne che sanno decidere pure se non comandano.
Saper decidere è un talento, una competenza, una virtù: non è di tutti e non è per tutti. Nella lunga storia maschilista della Sicilia le donne hanno imparato a decidere, spesso senza farlo vedere o senza farsi notare. Ora le capacità di comando e di decisione possono finalmente venire fuori. E quando si tratta di saper decidere, le donne siciliane mostrano di avere qualche marcia in più. E forse la frase abusata presto suonerà così: in Sicilia le donne comandano e decidono. Una volta non era così.
La legge nazionale d’altra parte rispecchiava un costume ancora rigoglioso in tutto il Sud: c’era il delitto d’onore, il matrimonio riparatore, l’infanticidio per motivi d’onore, leggi che vennero abrogate nel 1981, solo quarant’anni fa. Ben quindici anni dopo il gesto di Franca Viola, la ragazza di Alcamo che rifiutò di sposare il suo rapitore e lo portò in tribunale, determinando una svolta nella coscienza del Paese e segnando una tappa fondamentale sulla via dell’emancipazione femminile e della parità dei sessi.
Ed è alla storia di Franca Viola che sono stati ispirati liberamente inchieste, docufilm, servizi speciali ed anche romanzi di formazione ambientati nella provincia siciliana degli anni ’60. Sono anni ove c’è un mondo ancora fermo a tradizioni ancestrali, in cui il controllo sociale è ferreo e il valore di una donna dipende dalla sua verginità, irrinunciabile moneta di scambio, e dall’uomo che la sceglie. Perché «la femmina è una brocca, e chi la rompe se la piglia». Fuori dal matrimonio non c’è nessuna prospettiva per una donna, che «senza marito è come metà forbice: non serve a niente»..
Le canzonette del tempo, quelle con amore che faceva rima con cuore però dipingevano una realtà diversa, e le ragazze ci cascavano, salvo poi scoprire la verità quando era troppo tardi. E poi, soprattutto, non avevano scelta. Una storia importante, che è un pezzo della carta di identità del nostro Paese, una storia raccontata a più mani da scrittori , come quella raccontata dalla scrittrice mazarese Francesca Incandela nel suo ultimo romanzo “La Conta dei giorni perduti” (ed Multiverso, 129 pag.) Una lettura avvincente per chi per ragioni anagrafiche ha conosciuto il contesto sociale in cui fatti come quelli narrati hanno potuto verificarsi, ma anche e forse soprattutto per le giovani generazioni che per loro fortuna si trovano a vivere in un mondo dove le regole sono cambiate ma è giusto che sappiano come questo è avvenuto e da dove viene l’instabile libertà di cui oggi godono le donne ma anche gli uomini.
Salvatore Giacalone