“Una punta di Sal”. Le “sciare” di Mazara

Il sito da salvare inserito della Rete Ecologica Natura 2000 per le indubbie qualità ecologiche. La loro storia

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
30 Gennaio 2022 08:33
“Una punta di Sal”. Le “sciare” di Mazara

Un patrimonio naturale da tutelare. Sono le sciare di Mazara che i Mulsulmani, nell’827 d.C., prima di raggiungere le mura di Mazara, hanno dovuto faticare parecchio nel percorrere quel luogo che, fino al fiume Delia o Arena (nella parte più prossima a Mazara), passando per la zona umida del lago Preola e dei Gorghi Tondi, accoglieva lo storico bosco del Cantarro che era un tutt’uno con un altro sito del quale permangono tracce nelle sciare della “Campana” (continuazione della Piana di S.Nicola) di Campobello di Mazara, in particolare “Campana Cusa”, nota zona archeologica. Anche qua, però, i continui incendi, seguiti dalle bonifiche, nonostante le imponenti misure di protezione, stanno definitivamente compromettendo le qualità naturali e paesaggistiche delle sciare costiere del mazarese.

Le creste di rocce affioranti, materiale calcarenitico del quaternario che, assieme alla caratteristica vegetazione a gariga e ad arbusti termo-mediterranei, contraddistinguono parti di territorio ed il paesaggio tra i Comuni di Marsala, Petrosino, Mazara del Vallo, Campobello di Mazara e Castelvetrano, nel 2000, sono state accolte tra i siti della Rete Ecologica Natura 2000 per le indubbie qualità ecologiche. Le sciare, in questa parte della Sicilia sud – occidentale, permangono sia nell’entroterra, sia lungo la costa.

Le sciare dell’entroterra sono state accorpate in unico toponimo: “Sciare di Marsala” e costituiscono l’ex proposto SIC ITA010014 che nel 2017 è stato confermato come Zona Speciale di Conservazione (ZSC). Le Sciare di Marsala, iniziano dal territorio di Mazara del Vallo, dalla Borgata Costiera, quindi, dalle località S. Miceli, Busala, Busalotto, Ferla, Ferla Ciancianina, Inchiapparo Mirabile e passando per Petrosino, S. Padre delle Perriere, Ciavolo, Ciavolotto, arrivano fino alla contrada Cardilla di Marsala, nei pressi dell’Ospedale Paolo Borsellino.

Il sito occupa circa 5.000 ha di territorio e le sciare permangono ma a macchia di leopardo dato che nel tempo sono state intensamente sfruttate per l’estrazione dei conci di tufo e successivamente, bonificate, per ricavare aree coltivabili ad agrumeto, vigneto, oliveto, floro-vivaismo.

Le sciare costiere, in considerazione del fatto che permangono con più intensità tra il territorio di Mazara del Vallo e di Campobello di Mazara, in particolare nella lussureggiante (un tempo) piana di S. Nicola di Mazara, hanno preso il toponimo di “Sciare di Mazara” e nella Rete Natura 2000 sono state riconosciute sia come ZSC ITA010005, sia come ZPS (Zona di Protezione Speciale), ITA0100031. La macchia mediterranea bassa nella sciara della Piana di S.Nicola era così intensa che fino agli anni ’60 le sciare erano ancora il regno della Curina (palma nana) ricercata da valenti artigiani locali per fare scope, cordami e per intrecciare capienti contenitori, della ferula (per comporre fillizzi tipici sgabelli), con il ricercato fungo (funcia di ferla, cardoncello) della chiocciola Helix aspersa (crastunio giardino lumaca), dell’asparago selvatico (sparaciutronu), della calandra che al verde riposante delle specie vegetali che sovrastava le rocce, aggiungeva la musicalità dei suoi gorgheggi.

Per avere un'idea dello stato di abbandono e di degrado di questo irripetibile patrimonio naturale, il naturalista Enzo Sciabica spiega che “con l'amico, architetto Carlo Foderà, tra l'altro ex presidente e attuale membro del Consiglio Regionale per la Protezione del Patrimonio Naturale (CRPPN), è dal 2001, cioè da quando è entrata in vigore la Legge 353/2000, che conduco una battaglia senza quartiere per la salvaguardia delle "sciare", ma la Regione (dipende purtroppo dalla Regione, il Ministero Ambiente la sollecita ripetutamente come da note in mio possesso) non dispone di dipendenti, tranne qualcuno, volenterosi e sensibili al problema.Nel 2010 e nel 2011, dopo lunghe insistenze e dopo una mia pubblicazione, la Regione, dirigente generale all'ARTA, il dottore Giovanni Arnone, finalmente risponde ma le buone intenzioni di Arnone si disperdono per gli altri Uffici regionali e comincia uno scaricabarile tra Corpo Guardie Forestali e Azienda Foreste Demaniali.

Interviene anche l'amico Carlo Foderà ma nulla da fare. Arnone non dirige più l'Assessorato all'Ambiente e nel 2020, arrivo a scrivere pure al Presidente del Consiglio dei Ministri che risponde e fa intervenire pure i Carabinieri Forestali che effettuano anche un sequestro penale significativo dell’area, interviene pure il Prefetto. Speriamo che nel futuro ci sia un maggiore controllo dell’area sia per quanto riguarda gli incendi sia perle creste di roccia affioranti che, una volta macinate con la potente macchina che sbriciola le sciare dopo il passaggio del fuoco, provoca la dispersione di un imponente patrimonio, considerato che le rocce non si rigenerano”.

(in foto copertina le sciare di Mazara sorvolate dal capovaccaio).

Ma ritorniamo alla storia che suggerisce anche che le sciare sono state sicuramente utilizzate anche come abitazioni. In particolare ne viene segnalata una a pianta rettangolare, collegata ad una specie di cisterna, un “silos” di forma perfettamente circolare. La cisterna è scavata nella roccia ed ha un diametro di circa 5 – 6 metri ed è profonda circa 4 metri. La parete interna pare sia stata come intonacata o comunque trattata con un qualche prodotto dell’epoca. Oggi lo scavo è riempito dall’immancabile spazzatura ma mostra ancora una piccola porta con arco che accede ad un ampio locale abitativo.

Ma non solo. Si intravede un piccolo passaggio, tutt’ora inesplorato, di accesso ad una zona ancora sconosciuta. Probabilmente nella direzione di un vano senza aperture verso l’esterno. Forse un altro locale utilizzato come deposito, forse un tomba. Poco lontano, è ancora ben visibile l’enigmatica presenza di una mangiatoia integrata alla parete rocciosa di un vano utilizzato come stalla certamente migliaia di anni fa. Una mangiatoia, in pietra, forse di epoca neolitica, di indubbia bellezza.

Il suo abile artigiano – artista l’ha scavata nella parete rocciosa, non solo risparmiando di realizzare un lato della stessa ed anche il fondo, ma pure di renderla del tutto inamovibile. Un’opera veramente incredibile che si perde nella notte dei tempi. Un patrimonio da valorizzare ma principalmente preservare dagli incendi che si scatenano tra i mesi di aprile e giugno, un serio problema da affrontare se le sciare non si vogliono mandare in fumo.

Salvatore Giacalone

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