Un tuffo nel passato, si scava nella storia di una città dominata da re e da guerrieri ed anche da religiosi. Vi sono due piazze: “Mokarta” e la piazza grande su cui si erge il potere religioso: la Cattedrale, il seminario, il Palazzo vescovile. Risale al 20 luglio del 1625 la festa barocca in piazza grande che segna il cammino del Festino e che rivestirà nei secoli un importante ruolo scenico. In quel giorno e in quella data arrivano le reliquie di Santa Rosalia portate in città dal vescovo Marco La Cava, palermitano.
Fu, quello, un evento nel quale la città sembrò voler gareggiare con lo splendore del cerimoniale realizzato a Palermo pochi giorni prima per festeggiare il cessato pericolo della peste. Il lungo corteo cerimoniale a cavallo al seguito del carro recante le reliquie della Santa fece ingresso da porta Mokarta. Ne facevano parte ambasciatori del senato, della nobiltà e del Vescovo di Palermo con relativo seguito di cavalieri e musici da parata per complessive 120 unità. “Incontro a loro – afferma il professore Giovanni Isgrò - andarono il vicario della Diocesi di Mazara, tutto il capitolo della cattedrale, il capitano d’arme, i giurati, la nobiltà mazarese.
Compostosi il grande corteo processionale, si arrivò nella piazza grande dove si cantò il Te Deum e si svolse il resto della cerimonia. Si trattò di un protocollo complesso e di straordinarie proporzioni, anche se tradizioni processionali e feste di memoria medievale si erano già ampiamente affermate in città”.
Fra tutte, si ricordano quelle in onore del SS. Salvatore, in agosto, che continuavano ad animare la piazza grande con la “fiera franca”. Le baracche dei mercanti si disponevano a semicerchio conquistando la scena fra chiasso, baruffe e grande movimento di cittadini e forestieri attratti, oltre che dalle mercanzie, dalle corse dei cavalli che si svolgevano in una lunga strada fuori le mura (l’attuale Corso Vittorio Veneto), ma anche dalle gare acquatiche, fra le quali non mancavano le battaglie fra barche con tante giocosità.
Rispetto a queste forme semplici e rusticane, la messinscena della festa barocca del 1625. “Il vescovo La Cava - racconta Isgrò - aveva intuito l’opportunità di introdurre a Mazara la Compagnia di Gesù, lasciando appena un anno dopo la festa del 1625 una rendita annua di 150 scudi per l’erezione del collegio. In quanto palermitano, egli era stato testimone diretto, infatti, della cultura scenica dei gesuiti espressa nella sua città a partire dalle grandi celebrazioni del 1610 e del 1622 rispettivamente per la beatificazione e la canonizzazione di Ignazio di Loyola e Francesco Saverio.
Più di ogni altra fu la presenza del gesuita mazarese padre Natale Cardenas a segnare una svolta decisiva allo sviluppo della spettacolarità urbana nella sua città. Docente di retorica, teologia e filosofia nel collegio di Mazara dagli anni ’20 alla metà degli anni ’50 del Settecento, regolarizzò la festa barocca, arricchendola sia sul piano dei contenuti che dell’impatto scenico, corredandola di ragguagli ufficiali, secondo le consuetudini dei grandi eventi festivi urbani dei maggiori centri d’Italia e d’Europa.L’invenzione più spettacolare fula processione ideale a quadri viventi che egli progettò e diresse ogni anno con contenuti nuovi fino al 1752.
In quell’anno questa forma di teatro itinerante fu caratterizzato dalla presenza di centinaia di figuranti riccamente vestiti, recanti simboli riguardanti la storia delle città più importanti della Sicilia. Seguivano i sette Vizi capitali accompagnati da personaggi che si distinsero in ciascuno di essi e quindi da nove Virtù. Da ultimo sfilava il carro trionfale con i santi protettori Vito, Modesto e Crescenza. Il grande corteo processionale doveva comprendere alcune centinaia di personaggi storici e allegorici, a cavallo o/e a piedi nonché numerosi elementi praticabili mobili sui quali si rappresentavano scene figurate.
Fra quelle di maggiore impatto spettacolare, particolare attenzione dovevano suscitare i quadri raffiguranti lo strazio dei 400 martiri cristiani, distribuiti su 17 piattaforme mobili, sulle quali erano collocati gli strumenti di tortura e i martiri. La memoria sei-settecentesca della festa urbana si è mantenuta attraverso giochi e prove di destrezza fino agli anni ’80 del secolo scorso. Dopo quegli anni è iniziato un progressivo declino della tradizionale partecipazione popolare; testimonianza di deculturazione, questa, ampiamente riscontrabile peraltro nelle feste di numerosi centri non soltanto della Sicilia.E’ rimasto, a questo punto, il dovere culturale di attualizzare, e al tempo stesso agganciare alla storia, il fenomeno della festa urbana legata al Festino di San Vito”.
E’ quanto il prof. Isgrò, sostenuto dalla Diocesi e dall’Amministrazione comunale ha cercato di fare in questi ultimi dieci anni: dal recupero della cultura scenica dei gesuiti all’immagine di Vito Santo d’Europa, fino ad arrivare all’attualità del collegamento del mito della fuga dalla Sicilia di San Vito protettore col fenomeno dell’emigrazione dai teatri di guerra e dalla povertà e, più recentemente, tra la devozione nazionale le celebrazioni della fine della Grande Guerra. Tutto questo, cercando di rimanere al di fuori di interventi spettacolari fini a se stessi, per quanto di grande cattura visiva, che poco hanno a che vedere con l’identità della città. Si spera che il festino di San Vito (in copertina una foto del corteo barocco) ritorni ai suoi antichi fasti dopo la lunga sosta dovuta anche al covid 19. Il recupero della festa barocca avrebbe ampie ripercussioni anche nel turismo.
Salvatore Giacalone