Racconta Giuseppe Pitrè che quando in una casa nasceva un maschio, l’acqua nella quale era lavato per la prima volta veniva gettata sulla via con un grido che era un annuncio “masculu”. Se a nascere era invece una femmina, l’acqua veniva buttata nel gabinetto (quando c’era) o nel buttatoio o dentro il forno. “Tacito intendimento – annota Pitrè – che l’uomo è destinato ad uscire di casa, la femmina a rimanere in famiglia”. Frase che più di qualsiasi annuario statistico o saggio sociologico, fa toccare con mano i radicali mutamenti che hanno reso così diversa la Sicilia nell’ultimo mezzo secolo.
Innanzitutto le donne: anche se al momento della nascita furono lavate dentro acque poi gettate nel forno, oggi non stanno più relegate a casa. Sciamano dappertutto. Il capo nascosto in uno scialle nero e le gonne abnorme nere che arrivavano a coprire le caviglie, è un abbigliamento che si deve andare a cercare all’interno della Sicilia e solo tra persone anziane. Le donne hanno messo i pantaloni, si vedono dappertutto, nelle scuole, sulle strade , le ragazze camminano sciolte, disinvolte, non più a capo chino, e non si lasciano intimidire dagli sguardi dei maschi, anche se sfacciati.
La frattura tra la siciliana di stampo tradizionale e quella di oggi, salta agli occhi anche a Mazara, specialmente nelle viuzze della Marina. Lì stavano a fianco i panni sovrabbondanti e scuri delle nonne e i jeans e le magliette “attillatissime” delle nipoti. Come imponeva il modo di pensare di una società chiusa, conservatrice e quasi tutta agricola e marinara, se la donna doveva uscire di casa per guadagnarsi un salario, poteva farlo solo andando a lavorare nei campi o nelle industrie del pescato.
A Mazara ne esisteva una, tanti anni fa, era un’industria in cui si salava il pesce. Oggi, negli anni in cui Mazara era la prima marina d’Italia per numero di natanti, non esiste nessuna industria del pescato (tipo Findus per intenderci) . Un peccato originale dei mazaresi che non hanno avuto vista lunga con un prodotto (il pesce) che doveva essere semplicemente lavorato e venduto. Ed invece (“l’oro”) di Mazara è stata dilapidato in ville e villette a Tonnarella ed anche in costose vasche di idromassaggi Jacuzzi di Pontedera tanto che l’industria che li ha forniti ha indicato in Mazara la piazza nella quale aveva venduto di più.
Ma torniamo alla donna. Quale è la sua condizione oggi in Sicilia e quindi anche a Mazara? La testimonianza più persuasiva ci viene da un autorevole artista: Renato Guttuso. Egli si esprime con la forza delle immagini e il suo discorso è più immediato, più penetrante di qualsiasi analisi saggistica. Mi riferisco al suo quadro grande 9 metri quadri, “La Vucciaria” (vedi foto di copertina). Per il momento lasciate perdere ogni considerazione artistica, non badate al fiume di mercanzie esposte in quello squarcio di mercato più popolare di Palermo.
E fermate invece la vostra attenzione specialmente sulle 10 persone inserite nel quadro. Tre sono donne: una è adolescente e volta le spalle ad una sessantenne, mentre in primo piano sta una giovane sui trent’anni. L’adolescente è siciliana, ma ritagliata fuori dalla ”Vucciria” potrebbe essere una torinese o una parigina, con i suoi capelli morbidi castano chiari, con il suo viso delicato, la carnagione diafana. Quasi la tocca con una mano la sessantenne; una donna pingue, capelli grigi, tutta chiusa nel suo abito scuro e nel suo cipiglio tra il baldanzoso e il diffidente.
In primo piano la generazione di mezzo, la popolana trentenne; abito chiaro, la forma aderente le lascia scoperte le gambe fin sopra le ginocchia, i capelli corvini conoscono le cure del parrucchiere. Le sta di fronte un giovane e lo fissa negli occhi con serietà, senza malizia: guardate anche lui, quel popolano così asciutto, vestito così decentemente col maglione a giro collo e capite subito che non è un mafioso, egli ha dignità. Se badiano, quindi, all’elemento umano, immediatamente ci rendiamo conto quanto incomunicabili siano le distanze che il tempo ha messo tra chi oggi ha superato i 70 anni e che ne ha 30, per non parlare delle ultime leve, gli adolescenti, così simili ai loro coetanei delle altre regioni italiane, comprese le più settentrionali.
Salvatore Giacalone