Il voto è ancora utile? Dagli ultimi dieci anni son cambiate geometrie e protagonisti, ma una tendenza comune si è consolidata: “voi votate per chi volete, che poi per governare un modo si trova”. Che poi quel modo c’entri poco o nulla con quanto promesso o – peggio – premesso da chi avete votato, è ormai un dettaglio. La soluzione di emergenza è diventata una lunga e multiforme “normalità”, in cui un popolo che insegue l’imbonitore di turno e una classe dominante che sa sopravvivere perfino a se stessa sono uno il miglior alleato dell’altra.
Lo sappiamo che gli elettori in Italia sono chiamati a votare i membri del Parlamento e non i Presidenti del Consiglio dei ministri, i Ministri o tantomeno il Presidente della Repubblica. E tuttavia, proprio perchè vivono in una Repubblica Parlamentare fondata sul voto popolare che dovrebbe tenersi ogni cinque anni, i cittadini italiani dovrebbero poter credere – quando votano – che il loro voto conti qualcosa. Dovrebbero anzitutto credere che se votano un partito che dice “mai” su qualche proposta politica o sull’alleanza con qualcuno, questo “mai” sia almeno un “quasi mai”.
Dovrebbero, ancora, poter pensare che se votano qualcuno che dichiara fedeltà alla coalizione, quella fedeltà sia di regola rispettata. Dovrebbero infine poter pensare che se il partito e la coalizione per cui votano hanno fiducia in una persona, designata a rappresentarli a capo del governo, quella persona sia quella destinata a governare col loro voto, grazie al loro voto, salvo cataclismi. Non è – va ribadito – questione di conoscenza della costituzione ma di rispetto della fiducia nella politica, e nella sua pratica più alta, cioè la traduzione in azione del consenso popolare.
Quel che conta è che viviamo ormai in un’epoca politica del tutto nuova e, va detto, assai originale anche rispetto alla grande maggioranza dei Paesi democratici occidentali. Il volo rapido sulle ultime legislature ci ricorda che, da dieci anni, il voto degli italiani tende a contare poco, quasi nulla, nel determinare i destini del governo del Paese. Non è detto che sia un male, ma non può nemmeno essere assunto come un bene, come fanno invece le classi dominanti di questo Paese. Sempre pronte a indicare i tanti limiti e le responsabilità di un popolo troppo incline a dare retta all’ultimo imbonitore ma mai abbastanza autocritiche nel delineare le proprie responsabilità, in questo processo.
Primo tra tutti, è il pensiero prima dissimulato e oggi ormai rivendicato che una manovra di palazzo che annulli o quasi il voto popolare è sempre legittima, naturalmente se lo decidono “loro”. Noi, oggi giorno siamo riusciti ad elevare a “valore” politico la caccia alle streghe, cioè al nemico, l’indicare sempre e comunque un oscuro avversario che trama nell’ombra contro, abbiamo elevato l’ignoranza, sdoganandola dai bar, dalla piazza, abbiamo azzerato il valore culturale, il merito e la competenza, dando parola a chiunque, soprattutto su argomenti e questioni di cui non sanno niente.
Abbiamo scelto di inseguire la mediocrità, come panacea per non mostrare le nostre mancanze e abbiamo criminalizzato il talento e il merito, poichè evidenzia la nostra incapacità.
La Politica doveva inseguire l’eccellenza, doveva essere la risposta ai problemi del Popolo e del Paese, oggi la politica è solo uno strumento. Ci stiamo preparando a delle elezioni difficili: in palio c’è il futuro dell’Italia e della Sicilia ed oggi, anziché parlare del “fare” si parla di scontri all’interno di coalizioni, di papabili ministri ed assessori, sparando alla cieca tanto per far rumore. Ecco, questo ultimo decennio ci può insegnare molte cose. Una su tutte l’ha ricordata tra le righe il senatore Mario Monti qualche giorno fa sul Corriere della Sera: il suo, come quello di oggi, è un governo che ci è chiesto dall’’Europa.
L’Europa di allora chiedeva lacrime, sangue, tagli e rigore. Quella di oggi no, anzi. Gli stessi editorialisti che sullo stesso giornale, allora, chiedevano di ridurre drasticamente la spesa e il debito pubblico oggi scrivono che “il debito pubblico è un concetto del secolo scorso”. Il tempo passa. Speriamo di non invecchiare troppo, prima di riassaporare il gusto di votare credendo, ragionevolmente, che serva a qualcosa.
Salvatore Giacalone