“Una punta di Sal”. Il futuro dopo l’emergenza coronavirus? Un terra ignota…

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
29 Marzo 2020 18:53
“Una punta di Sal”. Il futuro dopo l’emergenza coronavirus? Un terra ignota…

Il presente e il futuro incognito. Il coronavirus non sembra volersi arrestare. Finora ha toccato ben 159 Paesi. In un tentativo disperato e a tratti confusionario di frenare la catastrofe, sempre più nazioni, inclusa l’Italia, stanno approvando decreti emergenziali volti a ridurre al più possibile i contatti sociali dei loro cittadini. Il risultato è che, al momento, mezzo miliardo e oltre di persone, in tutto l’Occidente, si trovano private delle più basilari libertà individuali, inclusa quella di fare una passeggiata o di poter fare la spesa senza mascherina e guanti.

Se la speranza, per molti, è quella di un rapido ritorno alla routine, diversi analisti dipingono un quadro molto più inquietante. Ed il nostro futuro come sarà? Pochi giri di parole: nelle ultime settimane la vita ci è stata sconvolta per davvero, ed è inutile darsi una scadenza temporale per il ritorno alla normalità; di sicuro, non sarà il 3 aprile (data inizialmente indicata come termine della quarantena italiana). “La spiazzante velocità con cui sono cambiate le nostre vite compromette la nostra capacità di accettare che l’uscita da questa crisi non sarà rapida quanto è stato il suo ingresso”, ha scritto il giornalista Francesco Costa.

“Uno scenario che soltanto un mese fa avremmo considerato lunare – le code ai supermercati, la polizia per le strade a controllare chi esce di casa, le scuole chiuse, le rivolte e i morti nelle carceri, i treni che non partono, l’impossibilità di vedere i propri cari – oggi è la nostra vita quotidiana”. E non ha senso dunque illuderci che lo stop a cui siamo sottoposti sia di breve termine. Di sicuro ciò che ci capiterà nei prossimi 18 mesi non ha precedenti nell’ultimo secolo, e ci muoveremo in terra incognita.

Qualunque programma importante abbiamo nel cassetto in questo lasso di tempo (matrimonio, figli, viaggi, cambio di lavoro, etc.) dovrà tenerne conto. L’Unione europea e altre istituzioni sovranazionali dovranno cambiare radicalmente per non perire. Ma, anche se non si sa esattamente quando, la parte più cruda del conflitto finirà. Com’è facile immaginare, il costo maggiore di questa rimodulazione della società in senso “spartano” sarà a carico delle fasce più povere e deboli: anziani e disabili dovranno essere collocati altrove durante le crisi, oppure i poveri e i meno poveri che avranno più alte probabilità di venire infettati, perché costretti a lavorare in ogni caso o a vivere in case troppo affollate.

La combinazione migliore, in caso di nuove colossali emergenze come quella attuale, probabilmente verrà da un mix di strategie: temporanee e localizzate, isolamento degli anziani e dei soggetti a rischio, e infine tamponi a tappeto. Realisticamente, l’aumento della domanda di sorveglianza sarà proporzionale all’aumentare del rischio, e del bilancio delle vittime. Ma tutto questo non potrebbe funzionare senza una trasformazione radicale del nostro modo di stare assieme e di vivere la società.

Salvatore Giacalone

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