“Una punta di Sal”. Bullismo, microcriminalità, mafia

La cultura mafiosa spesso si annida nelle pratiche di bullismo e trova bacino nella microcriminalità

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
20 Marzo 2022 10:31
“Una punta di Sal”. Bullismo, microcriminalità, mafia

Bullismo, microcriminalità, mafia. Fine della scalata. C'è una logica sottile che collega il fenomeno del bullismo alle piccole e grandi strategie d'azione della mafia. Deridere un proprio coetaneo, farlo sentire un diverso, isolandolo con piccoli o grandi ricatti psicologici e non solo, non è poi tanto distante dalle dinamiche dei gruppi criminali.

Come la mafia impone il sopruso sulla popolazione, anche nell'ambito scolastico accadono eventi simili. Il bullo, un po' come la mafia, impone la propria forza fisica, verbale e morale su qualcuno più debole.Un episodio di bullismo che ricordo di aver letto perché finì su tutti i giornali, è quello di una ragazzina che subiva continui insulti per il suo aspetto fisico. Veniva ripetutamente ricoperta di insulti, a volte la chiudevano nei bagni della scuola e la riprendevano per poi pubblicare il video sul gruppo della scuola.

I professori sembravano non accorgersi di nulla e i compagni, che sapevano, non intervenivano. Infine Emma si sentiva talmente sola che, non riuscendo più a reagire, prese una decisione drastica. Si uccise. Tutti sono stati colpevoli, non solo chi l'ha presa in giro, ma anche chi non è intervenuto, non ha parlato con nessuno, né con un professore, né con un genitore. Episodio limite ma il bullo, a volte, inizia con l’attività verbale a scuola o nel quartiere dove vive e si traccia la strada futura: passa dal bullismo alla microcriminalità, cioè l’insieme dei reati cosiddettiminori: scippi, rapine, piccoli furti, atti vandalici , spaccio di droghe leggere.

Si tratta di una realtà delinquenziale molto difficile da inquadrare e combattere per le forze dell’ordine perché, a differenza della “criminalità organizzata”, non è legata a gruppicriminali. Soprattutto nelle grandi città, la micro delinquenza trova terreno nelle periferie povere e degradate, prive di centri di aggregazione sociale e culturale.

Giovani e giovanissimi sono sempre più spesso protagonisti di episodi di microcriminalità o che sono affiliati nell’esercito della criminalità organizzata. Permolti giovani che hanno sperimentato il fallimento della famiglia e della vita scolastica l’inserimento in un’organizzazione di questo genere è estremamente gratificante. E nascono bande di giovani e giovanissimi la cui età non raggiunge neanche i 14 anni che si muovono in gruppo per commettere reati ai danni degli inermi cittadini. A causa della non imputabilità dei baby criminali di età inferiore ai 14 anni, spesso operano in maniera quasi indisturbata. La violenza giovanile nelle scuole o quella negli stadi conducono solo ad una maggior e più definitiva esclusione sociale. Questo è quello che accade anche con la mafia, si ha paura di parlare, però se non si denuncia è come se ti andasse bene quello che stanno facendo gli altri.

Dalla microcriminalità al boss mafioso sempre più giovane, violento, spregiudicato, il passo è breve. È un fatto: si abbassa e di molto l'età di iniziazione mafiosa. E le organizzazioni criminali, "nonostante la forte azione repressiva dello Stato, continuano ad attrarre le giovani generazioni", autentica "linfa delle mafie, siano espressione diretta delle famiglie o semplice bacino di reclutamento da cui attingere manovalanza criminale". È questo l'allarme della Direzione Investigativa Antimafia nella Relazione semestrale del 2019 che si occupa proprio dei giovani mafiosi, che sottolinea come nell'ultimo quinquennio "non solo ci siano stati casi di 'mafiosi' con età compresa tra i 14 e i 18 anni, ma come la fascia tra i 18 e i 40 anni abbia assunto una dimensione considerevole e tale, in alcuni casi, da superare quella della fascia 40-65, di piena maturità criminale".

Il fenomeno dei boss mafiosi sempre più giovani, secondo la Dia "da una parte pone la questione della successione nella reggenza delle cosche, dall'altra non appare certamente disgiunto da una crisi sociale diffusa che, soprattutto nelle aree meridionali, non sembra offrire ai giovani valide alternative per una emancipazione dalla cultura mafiosa".

I numeri parlano chiaro: le nuove leve criminali appartengono innanzitutto alla Campania, alla Calabria, alla Sicilia e alla Puglia. E secondo l'"Eurostat Regional Yearbook 2018", in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia ci sono infatti anche 4 degli 11 distretti europei con il maggior numero di under24 non occupati. Una sovrapposizione, quella della presenza mafiosa e della mancanza di opportunità di lavoro, che secondo la Direzione Distrettuale Antimafia sembra confermare come la criminalità organizzata, riducendo l'iniziativa imprenditoriale lecita, "approfitta dello stato di bisogno di molti giovani e specula sulla manodopera locale, dando l'effimera sensazione di distribuire un salario, sempre minimo, per generare dipendenza e senza garantire i contributi previdenziali - e quindi un futuro - ai giovani impiegati al suo servizio".

La volontà di affrancarsi dai vecchi boss, l'ambizione di riconoscimento e di carriera l'uso indiscriminato della violenza sono gli elementi di "trasformazione della 'cultura mafiosa' che investe anche il linguaggio, al passo con i tempi, non tanto rispetto ai contenuti delle comunicazioni, sempre imperative e cariche di violenza, quanto piuttosto per gli strumenti social utilizzati, che consentono di aggregare velocemente gli affiliati al sodalizio e, allo stesso tempo, di rendere più difficoltosa l'intercettazione dei messaggi".

E poi ancora: "La presenza di parenti all'interno della catena di comando conferma la centralità della famiglia, quale strumento di coesione. Non di rado le alleanze sono rafforzate da matrimoni tra giovani di gruppi diversi, con le donne che assumono, sempre più spesso, ruoli di rilievo nella gerarchia dei clan, soprattutto in assenza dei mariti o dei figli detenuti".

“Parlate di mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. Questa frase pronunciata da Paolo Borsellino racchiude tutta l’importanza e la necessità di informare i giovani studenti delle scuole con percorsi mirati in base al loro grado di istruzione. Sin da piccoli è necessario avvicinarli alla legalità, far sì che questo tema, diventi una consuetudine scolastica e di vita sociale. La più grande nemica della mafia è la conoscenza, la cultura, i mezzi di comunicazione.

La scuola è la più forte in questo senso, perché possiede tutti i mezzi e gli strumenti umani e tecnologici per istruire e far capire l’importanza delle regole e della legalità ai giovani, fin dalla scuola materna, e un continuo lavoro tra docenti, forze dell’Ordine e associazioni di legalità. La scuola insegna il senso civico, il rispetto degli altri, valori che, invece, la mafia vuole distruggere. Ci sarebbe anche la famiglia ma se questa è impreparata, cosa può insegnare? Potrebbe solo denunciare, qualche caso si è verificato.

Ma una rondine non fa primavera.

Salvatore Giacalone

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