Ci sono storie che incontri per caso e non vedi l’ora di condividerle, perché ti hanno toccato il cuore, ti hanno fatto vedere la Storia attraverso un piccolo pertugio, hanno mescolato ricordi personali a memorie epiche. Questa che vi racconto è una piccola storia dentro la Storia della Seconda Guerra Mondiale e si è consumata in pochi attimi, nel tratto di mare che unisce l’isola di Salina alla terraferma.
Qualche giorno fa un collega è andato in pensione e si è soffermato a salutarmi. L’ho visto un po’ abbattuto e gli ho chiesto perché. “Mio padre non sta molto bene” mi ha risposto “Sai, ha avuto una vita travagliata, è rimasto orfano che era un bambino. La sua mamma, cioè mia nonna, è morta nell’affondamento del Santa Marina Salina…” E ha cominciato questo racconto, ambientato in una delle isole che appartengono alla personale geografia della mia vita, alla quale sono legata da un vincolo di bellezza sperimentata nell’abitare a Lingua, nel salire fino alla Fossa delle Felci e discendere dentro quel cratere ormai spento di lava e acceso di mille querce, nel percorrere la mezza luna di Pollara accompagnata dai versi di Neruda.
“La mattina del 9 maggio 1943, mia nonna Edel partiva con la sua sorellina Clara da Santa Marina Salina verso Milazzo e da lì verso Palermo, dove avrebbero raggiunto la madre che doveva sottoporsi all'intervento di appendicectomia, per quell'epoca molto rischioso. Anche le altre sorelle sparse per la Sicilia stavano raggiungendo Palermo: la loro madre, voleva riunire tutte le figlie, non sapendo se sarebbe sopravvissuta all'intervento. Il piccolo postale Santamarina aveva a bordo diverse decine di passeggeri, per lo più ragazzi che dovevano recarsi ai distretti militari per la loro visita di leva.
Ad un certo punto un sommergibile britannico sparò due siluri che spezzarono il piroscafo in due. Fu una tragedia! Su 115 persone imbarcate, 62 risulteranno disperse per sempre, inghiottite dal mare o morte nell’esplosione. La notizia arrivò in un baleno, assieme al fumo nero che invase l’orizzonte, ma nessuno ebbe il coraggio di avvisare mio nonno Antonio, ufficiale medico in Guerra, lontano da casa, che la sua Pupa (così la chiamavano per quanto era bella!) non c’era più.
Il suo capitano gli disse solo che c’era stato un incidente e gli diede il permesso di partire: 10 giorni di licenza oltre a quelli che ci sarebbero voluti per il viaggio dal profondo nord fino alla piccola isola del Mar Tirreno. E mio nonno partì e camminò, un po’ a piedi, un po’ in treno, con vari mezzi di fortuna, attraversando una penisola devastata dalla guerra. Ci mise un mese ad arrivare a Santa Marina Salina. Quando sbarcò fu abbracciato dai suoi tre figlioletti (Salvatore, mio padre, all'epoca undicenne, Maurizio di otto anni e Ada Clara di cinque) che si avvinghiarono alle sue gambe mentre i grandi della famiglia e l’isola intera gli davano la terribile notizia.
Mio nonno restò come pietrificato. Guardò i suoi bambini e chiese in giro “Ma chi sono questi caruseddi?” Il dolore gli aveva trafitto il cuore e il cervello. Per quella triste circostanza non partì per la Campagna di Russia che, come narrano i libri di storia, fece di tutti gli ufficiali italiani un'ecatombe. Pertanto, a sua insaputa, rientrando nella terra natia di lì a breve avrebbe ricevuto il congedo definitivo. Continuò a vivere con la consapevolezza di non avere avuto nemmeno una tomba su cui piangere la sua dolce Edel.
Finalmente nel 2013 venne realizzato a Santa Marina Salina, sulla piazza principale del piccolo centro abitato, un monumento in memoria della tragedia, in forma di una scultura raffigurante la prua di una nave. Sulla parte posteriore del monumento sono incisi i nomi delle 62 vittime e la frase: "Il vento turbina, increspa le onde, trasportando le voci dei nostri cari, che ci infondono coraggio, esempio per le generazioni future. Affinché il loro sacrificio non sia stato vano, lanciano moniti di pace e di amore".
E così mio padre, presente all’inaugurazione insieme ad altri pochi parenti in vita dei dispersi, lesse quel nome, lo sfiorò con le dita e disse “Finalmente ho una lapide sulla quale piangere mia madre”.
Il collega mi abbracciò e mi lasciò con un invito: “Vai a cercare questa storia su internet…”
E così ho fatto, e ho trovato le foto, le testimonianze dei superstiti, aneddoti e brandelli di vite spezzate. Salvatore, figlio di Edel e di Antonio, è morto lo stesso giorno in cui mi è stata regalata questa piccola grande storia. Aveva 90 anni, era stato un velista eccezionale, grande amante del mare e della natura e lo vogliamo ricordare così, con le parole dei suoi figli “... a veleggiare tra le nuvole con gli Angeli, destinazione Paradiso”.
Chi ha voglia di approfondire il racconto può googolare “Affondamento Santa Marina” e troverà ad esempio:
http://conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com/2020/02/santamarina-salina.html
http://www.archiviostoricoeoliano.it/wiki/documento-laffondamento-del-santamarina
di Antonella MARASCIA
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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