Con il proliferare prima dei centri commerciali e poi del commercio on line, ulteriormente fortificato e consolidato dalla pandemia, le grandi città sono diventati deserti umani ed economici. Sono scomparsi il fruttivendolo, il macellaio, il pescivendolo, ma anche la ferramenta, la cartoleria, il negozio di articoli casalinghi. Con essi, si sono perse anche le relazioni umane che il commercio di prossimità è in grado di generare.
Sono scomparsi anche gli artigiani della cura: calzolai, sarti, falegnami, vetrai, fabbri che ci hanno aiutato nel tempo a riparare invece che buttare via gli oggetti che si rompono o che si usurano, prendendocene cura invece di scartarli e cremarli prematuramente in un inceneritore o seppellirli – ancora vivi e utili - in una discarica, fossa comune del nostro eccidio di risorse. Penso alle mie camicie con i colli girati dalla sarta o ai miei scarponcini da montagna comprati nel 1993, riparati un paio di volte dal calzolaio e ancora utili per passeggiate poco impegnative. Atti vitali di ribellione alla inciviltà dei consumi, dello scarto umano e materiale, della tecnologia utilizzata come strumento di dominio sulla natura e sugli altri esseri viventi.
Ma non tutto è perduto. In uno dei miei ultimi soggiorni a Napoli ho scoperto un luogo di resistenza allo sgretolamento dei legami comunitari in ambito urbano. Uomini, donne e bambini dipinti come brutti, sporchi e cattivi, come si addice ai briganti, resistono in un contesto in continuo cambiamento ma capace di conservare stili di vita basati su prossimità e relazioni.
Nascosto in un dedalo di vicoli, alle spalle della elegante via Toledo, c’è il mondo dei Quartieri Spagnoli dove ho potuto sperimentare lo stile di vita “quartierano”. Si è rotto un vetro? La bottega del vetraio sta nel vicolo parallelo al nostro. Devo fare l’orlo ai pantaloni? Il sarto sta a cento metri dall’uscio di casa. Mi servono delle viti, c’è la ferramenta due vicoli più avanti. Accidenti! La batteria della macchina è arrivata a fine vita. Tra i vicoli dei Quartieri c’è anche il negozio di ricambi per auto.
E poi, pesce freschissimo, macellaio, salumeria, panettiere, tutto a portata di piedi, insieme a taralli caldi, pizza fritta e “a portafoglio”. C’è anche la frutteria di Angelo Scognamiglio “o buono o niente” che fa i corsi di cucina agli stranieri che vivono nei vicoli. I friarielli a Dakar non ci stanno, come si cucinano? E i carciofi? E la scarola, come la preparo?” Di fronte allo smarrimento di uomini e donne venute da altri continenti, Angelo e la moglie Tina non si sono persi d’animo. Hanno attrezzato un cucinino nel negozio e hanno insegnato ad arabi, africani, bengalesi a cucinare le verdure che vendono. Se non è marketing questo…
Poi lo scambio si è intensificato e, già che c’erano, gli stranieri hanno insegnato le loro ricette ai napoletani. E il commercio è ridiventato vettore di saperi, sapori e cultura. Proprio come fu in origine, quando i Greci solcando il mediterraneo, vennero a fondare prima Partenope e poi la città nuova, Nea-Polis, scambiando con i popoli italici miti, filosofia, conoscenza, insieme al vasellame.
A Napoli, in mezzo ai vicoli, la rete è fatta di carne, ossa e sangue. L’intelligenza non è artificiale e non ci sono community, c’è la comunità.
E mentre nei Quartieri Spagnoli si vive ogni giorno di prossimità, Anne Hidalgo, Sindaca di Parigi, ha incaricato l’Università della Sorbona di studiare la “ville du quart d’heure”: la città dove trovi tutto a 15 minuti a piedi o in bicicletta, destinata ad essere modello di sostenibilità da imitare.
Cari amici, non perdiamo altro tempo. Facciamoci un giro a Napoli. Dopo qualche millennio, il cuore pulsante del Mediterraneo ha ancora tanto da dirci per affrontare le grandi sfide del nostro tempo.
di Massimo DE MAIO
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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