di Saveria ALBANESE Una volta la voce contava tantissimo. A partire dalle voci delle nostre madri che ci chiamavano quando scendevamo a giocare in cortile o in strada con gli altri bambini. Del resto non c’era altro modo per richiamare qualcuno. Le voci erano quelle dei programmi radiofonici che riuscivano a radunare le persone del vicinato attorno ad un apparecchio enorme nel quale non c’era nulla da vedere ma solo tanto da ascoltare. La voce era quella della nostra canzone preferita che usciva dai juke box, con tutto il fascino del meccanismo di mettere la monetina, schiacciare la combinazione di lettera e numero e vedere andare andar giù il vinile dei nostri sogni.
La voce era quella del nostro fidanzatino conosciuto per caso andando a prendere il gelato, che dovevamo chiamare al telefono di casa, sperando che non fosse un adulto a rispondere. Quella voce si mescolava al rumore esterno, ai gettoni che cadevano e scandivano il tempo e il ritmo di una conversazione che già non si presentava facile. Le voci dei parenti lontani che ti chiamavano al telefono o degli amici e spesso qualcuno che ti diceva “non stare troppo al telefono” e quando si esagerava arrivava anche la “chiamata urbana urgente”.
C’è qualcuno che se la ricorda? Poi sono arrivati i cellulari, gli sms, i social e la voce, per un po’ è sparita. Sembrava che tutto si fosse silenziato e appiattito sulle immagini, sulla scrittura che non sempre riesce a dare corpo a ciò che veramente si vuole esprimere. Ma per fortuna anche i social hanno aggiunto i messaggi vocali, i canali con messaggi vocali. Adesso è il gran boom degli audio libri e dei podcast. Forse perché la gente ha sempre meno tempo di leggere e mentre ascolta può fare dell’altro.
La verità è che è diventato necessario ritrovare la dimensione dell’ascolto. Ascoltare una voce viva con tutto il respiro e le emozioni che contiene è un’esperienza più coinvolgente dal guardare una foto con un testo di accompagnamento. Forse anche a questo è dovuto il boom del nuovo social Clubhouse basato solo sulla possibilità di entrare in alcune stanze e parlare ma senza vedere. Sembra che per far parte di questo social si possa entrare solo su inviti e solo sei hai un cellulare i-phone.
Clubhouse, dove ogni interazione si basa esclusivamente sulla voce, è il social network del momento. Persino l’imprenditore visionario Elon Musk, patron di Tesla e Space X, è approdato sulla piattaforma dando appuntamento ai suoi numerosi follower. Sembra che Musk abbia parlato della missione per portare l'uomo su Marte, del progetto Neuralink per creare un'interfaccia di connessione tra cervello e macchina, ma anche di Bitcoin, progetti Tesla in merito all'intelligenza artificiale, fino ad arrivare al cinema con un apprezzamento per il film Tenet di Christopher Nolan.
Clubhouse è una piattaforma lanciata l'aprile scorso, ma rimasta in sordina. Creata da Paul Davison e Rohan Seth, è una piattaforma live, solo audio, senza testi, foto o video. Tutto si basa sulle stanze sonore. Quindi non ci sono neanche commenti o messaggi scritti. Insomma sembra una specie di enorme contenitore di podcast. Questo social, insomma, consacra il successo della voce. La voce è la parte più viva di un essere umano. Esce dalla bocca insieme al respiro, portandosi dietro idee, parole, sentimenti.
Spesso indica anche il nostro modo di stare al mondo. Parlare a voce alta o a voce bassa assume significati diversi. Spesso dire qualcosa ad alta voce significa anche protestare, farsi sentire. La voce sintetizza il linguaggio, la cultura, i pensieri. La voce è ciò che spezza il silenzio, che spesso non è vuoto ma pieno di attesa. La voce è un modo di stare al mondo. “Meglio che mi sto zitta” “Adesso mi sente” Spesso ci concentriamo sulle parole da dire ma non su come queste usciranno.
Questo lo facciamo sia nella nostra vita quotidiana, sia quando dobbiamo parlare in pubblico. A volte abbiamo troppe cose da fare e certi messaggi escono dalla nostra bocca facendoci sembrare degli automi. La voce è anche un nostro tratto distintivo, non ce ne sono due uguali. Gli esperti del doppiaggio sanno che il tono di voce è più importante di quello che si dice. Si rimane più colpiti da un brutto tono di voce che da un contenuto fuori posto. Di solito è l’istinto che la governa e non si riesce a falsificare.
Molte volte il tono della voce nasconde dei non detti ed è causa di equivoci tra le persone. Ritengo che questo ritorno a dei mezzi che utilizzano la voce ci porti un grande messaggio dell’ascolto. Non solo ascoltiamo più gli altri ma ascoltiamo la nostra voce interiore e restituiamola al mondo nella maniera più autentica! La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com