Ultime della sera. Quando la mafia uccideva solo d’estate: “Libero Grassi”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
31 Agosto 2020 19:34
Ultime della sera. Quando la mafia uccideva solo d’estate: “Libero Grassi”

“Io non sono pazzo: non mi piace pagare. E' una rinunzia alla mia libertà di imprenditore” (Libero Grassi) E' il 29 agosto 1991. Ci chiama Paola, una nostra amica medico legale che lavora al Policlinico. Ci chiede se possiamo andare a prenderla in stazione, dove arriverà il giorno dopo, rientrando a Palermo anticipatamente dalle ferie estive. C'è un autopsia eccellente che attende il prof. Procaccianti, direttore dell'istituto di medicina legale: quella dell'imprenditore Libero Grassi, ammazzato per mano della mafia perché si è rifiutato pubblicamente di pagare il pizzo.

Libero Grassi nasce a Catania nel 1924 ma si trasferisce già da piccolo, con la famiglia, a Palermo. Libero l'idea di libertà ce l'ha già nel nome, che i genitori scelgono in memoria del sacrificio di Giacomo Matteotti, inculcandogli già da piccolo gli ideali dell'antifascismo e della libertà. Uomo colto, moderno, lungimirante, dopo gli studi classici si laurea in Giurisprudenza a Roma ma torna a Palermo per continuare l'attività di famiglia. Nonostante gli impegni da imprenditore in una terra difficile come la Sicilia, Libero non smette di coltivare le sue passioni, gli ideali fortemente radicati in lui, le battaglie politiche: insieme alla moglie prende infatti la tessera del Partito radicale, di cui condivide le lotte di civiltà e per i diritti.

La sua fabbrica di biancheria, la Sigma, che dà lavoro a 250 dipendenti, diventa un boccone troppo ghiotto per la mafia, che inizia a taglieggiare l'imprenditore imponendogli il pagamento del pizzo. Nel gennaio 1991, pochi mesi prima di essere ucciso, Libero Grassi compra un'intera pagina del Giornale di Sicilia per denunciare pubblicamente i suoi estortori. Pubblica infatti una lettera diretta al suo taglieggiatore, colui che si presenta al telefono come il geometra Anzalone, da titolo “Caro Estortore”, che inizia così: “Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia.

Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. ….Per questo abbiamo detto NO al geometra Anzalone e a tutti quelli come lui”. Ma nel 1991 Palermo è un città che ha ancora paura, dove la maggior parte degli imprenditori e commercianti paga il pizzo, dove interi ambienti ancora negano l'esistenza della mafia, dove regna l'omertà. Ci vorranno le stragi del 92 perché la città inizi a risvegliarsi. Libero Grassi viene lasciato solo. Questo imprenditore colto, libero e ribelle, dai modi pacati e dalla voce gentile, è una mosca bianca, non viene capito né aiutato.

Anzi, dà fastidio, bisogna prenderne le distanze. Inizia l'isolamento. In pochi lo appoggiano. La città è assente, Palermo non c'è nel momento del bisogno. Confindustria e Confesercenti non prendono posizione, lo lasciano solo. Libero, uomo coraggioso e testardo, non pensa che la mafia possa ucciderlo. E' convinto che la sua pubblica denuncia, che essersi messo nelle mani delle forze dell'ordine e dello Stato, lo proteggerà. Rifiuta la scorta, per non limitare la propria libertà di movimento, perché non si sente un eroe.

E perché non vuole mettere in pericolo la vita di altri. Troppo sangue ha visto scorrere in questa città Sbaglia, Libero. La mafia non perdona il suo rifiuto, che la delegittima pubblicamente. Cosa succederebbe se gli imprenditori della città iniziassero a seguirlo, se il suo No fosse un seme che inizia a germogliare, se tutti percorressero questo sentiero? L'isolamento da parte della città e dei colleghi imprenditori, che lo considerano un pazzo, sarà la sua condanna a morte. E' questa la ferita che resterà per molti anni nei rapporti tra i figli Davide e Alice e Palermo.

Quel figlio Davide che il giorno del funerale, mentre in lacrime trasporta sulle spalle la bara del padre, alzerà le dita in segno di vittoria. Un gesto forte, che resterà piantato negli occhi e nel cuore di tanti di noi. Il testimone della resistenza di Libero viene raccolto dalla moglie, Pina Maisano Grassi, e dai figli dell'imprenditore, ma appena un anno dopo l'omicidio la Sigma chiude. Dopo tredici anni dalla morte di Libero Grassi compare a Palermo, su un cavalcavia di viale Regione Siciliana, un grande striscione con su scritto: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”.

In pochi giorni tutta la città è tappezzata da adesivi con la stessa scritta. Qualche giorno dopo tre ragazzi si presentano a casa della signora Grassi: sono gli autori dello striscione. Da quel momento inizia un'altra storia: la grande avventura di Addio pizzo. Sarà un'avventura lunga, faticosa, una rivoluzione che non si è ancora conclusa. Da allora molti commercianti a Palermo hanno seguito l'esempio di Libero Grassi, molti di loro sono stati lasciati soli, altri hanno dovuto cambiare città, recarsi in località protette, la maggior parte ancora resistono, con coraggio e dignità, in quella che è una guerra quotidiana a tutti gli effetti, come ha insegnato loro quell'uomo Libero di nome e di fatto che ha indicato la strada.

  Catia Catania

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