In tempi in cui il COVID sconsiglia viaggi all'estero, invogliando a tornare a visitare il Bel Paese, che il fenomeno dei voli low cost ci aveva forse fatto un po' trascurare, mi tornano in mente alcuni scorci, squisitamente italiani, che si trovano molto al di fuori dei confini nazionali odierni. Si tratta di antichi insediamenti veneziani dislocati lungo l'Adriatico, lo Ionio e financo l'Egeo. Personalmente ne conosco solo qualcuno della Dalmazia, una regione che fu sì romana, col nome di Illiria, ma non fu mai italiana, salvo che per qualche minuscola enclave, come quella della città di Zara, per poco più di 20 anni.
Ancorché rivendicata in forza del patto di Londra, come preda territoriale in caso di vittoria nel primo conflitto mondiale, il trattato di Versailles la assegno' al nuovo Stato degli slavi del Sud (che poi sarebbe durato solo 70 anni) in nome del principio di autodeterminazione dei popoli, propugnato dal presidente USA Wilson, il cui intervento, in extremis, nella guerra, ne aveva determinato l'esito favorevole all'Intesa, di cui facevamo parte. L'Italia si accontentò così di Trento, Trieste, Istria e Sud Tirolo, subito ribattezzato Alto Adige (il che mi riporta in mente quella massima napoletana secondo cui "ovunque ti trovi, sarai sempre il meridionale di qualcuno").
Ma c'è chi dice che la Dalmazia, ornata da più di 800 isole, scogli ed isolotti, sarebbe stata militarmente indifendibile, e così ci si limitò a protestare per la città di Fiume, nel Quarnaro, prima esclusa poi, in qualche modo annessa. Mentre Zara, sita più o meno all'altezza di Ancona, diventò una nostra Ceuta o Melilla, enclaves spagnole ancora presenti in Marocco. Probabilmente tale soluzione fu la più coerente con le vicende storiche precedenti: i veneziani, sorta di fenici moderni, non erano soliti occupare vasti territori, limitandosi a fondare caposaldi costieri per le loro necessità commerciali.
Forse è il momento di chiarire che il Belpaese oltre confine cui mi riferisco è quello, assolutamente artificiale, consistente in quanto i veneziani fabbricarono presso i loro insediamenti, marchiandoli, immancabilmente, con uno dei primi 'brand' di successo del made in Italy: il leone di San Marco. Scolpito ovunque ci fosse ragione di farlo, quei rilievi furono oggetto di furia distruttiva da parte dei successivi padroni di casa, furia non sempre efficace: il leone che domina la porta meridionale delle mura di Zara, per esempio, sta ancora lì a testimoniare quale fu il periodo più prospero della città, a dispetto di una ostilità che il paesaggio circostante non potrebbe esprimere meglio: aspri rilievi coperti da fitta vegetazione, molto più irti e selvaggi dei prospicienti Appennini, che si affacciano, in Adriatico, su coste basse e sabbiose.
Non così in Dalmazia: chi voglia raggiungere la stupenda città di Sebenico dal mare dovrà inoltrarsi in uno stretto cunicolo, non più largo del nostro porto canale, prima di accedere nella sua baia, o forse dovremmo dire fiordo. Ma aggirandosi per le sue vie ci si sentirà subito in Patria, magari dalle parti della Lucchesia, specie quando si sboccherà sulla piazza del Duomo, realizzato in pietra bianca di Dalmazia, in stile romanico, con la facciata decorata da uno stupendo rosone. Ma sarei ingiustamente severo con una natura, sicuramente molto più aspra rispetto a quella cui siamo abituati, ma affascinante, specie laddove la copiosa acqua proveniente dai Balcani si trova a superare gli ultimi dislivelli costieri.
Ed addentrandosi ulteriormente nel fiordo di Sebenico, lungo un tratto di fiume navigabile, ci si troverà finalmente al cospetto delle magnifiche cascate del parco di Krka, ove sarà bello bagnarsi e poi farsi una birra presso un bier garten, che ci suggerirà come il territorio circostante fu dominio asburgico per secoli. Oggi cechi, slovacchi, polacchi, ucraini, sloveni, serbi, bosgnacchi, ungheresi, romeni e croati, padroni di casa testimoniano l'articolazione dell'impero collassato un secolo fa con le targhe delle loro auto nel parcheggio della riserva.
Intorno, i radi edifici portano ancora i segni della sanguinaria guerra della ex Jugoslavia di 30 anni fa. A ricordo della circostanza che, come si disse, "i Balcani producono molta più storia di quanto non riescano a digerirne"
di Danilo MARINO
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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