Ultime della sera: “I falò che bruciavano il passato”

Accesi nelle feste dedicate ai santi per sottolineare la nascita del divino e la loro rinascita

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
13 Aprile 2022 19:00
Ultime della sera: “I falò che bruciavano il passato”

Ultime della sera: “I falò che bruciavano il passato”

Accesi nelle feste dedicate ai santi per sottolineare la nascita del divino e la loro rinascita.

Tra i segni dimenticati quasi del tutto ormai nelle nostre modernissime cittadine il fuoco non scalda più quartieri e isolati. Era però un segno della festa distintivo e ardeva d’inverno come d’estate. Viene in mente in questi giorni di Quaresima sia per la sua assenza che per il suo significato. I falò avevano un compito preciso dalle nostre parti e per questo erano maestosi. Bruciavano il passato e la triste memoria di un anno non fertile, con le fiamme bruciava un lutto, un’offesa sia individuale che collettiva.

Bruciavano tutto l’anno: per Sant’Antonio Abate, per Santa Lucia, per la vigilia dell'Immacolata, a Natale e a Capodanno a Carnevale e a Pasqua, il giorno dell’Assunta e a San Giovanni. Far fuoco solo per cancellare il passato? No. Far fuoco per perpetuare un rito antico, il tornare con gesti e azioni sulle orme di un passato comune, condiviso e perciò compreso da tutti, senza parole. E non è un caso che i falò erano accesi in occasione delle feste dedicate ai santi: i falò sottolineavano la nascita del divino e dunque anche la loro rinascita.

Con la nascita ricomincia il ciclo vitale, brucia il caos e si ricostituisce il cosmos. Si apre il ciclo della vita e finisce in cenere il vecchio. Qualcuno potrebbe obiettare che i falò venivano accesi anche a Carnevale, festa non proprio legata al divino. Già. È vero ma non è una contraddizione. I Falò di Carnevale in cui spesso venivano bruciati i fantocci che rappresentavano la Veccia bruciavano giustappunto il vecchio, la caducità della vita, la debolezza che è insita nella vecchiaia per dare spazio alla vita nuova.

Con la Veccia, o in certi luoghi con il nannu si metteva la parola fine al passato per ricominciare. Era questo un passaggio fondamentale. Una comunità ferita da un cattivo raccolto, da una persistente siccità, da una epidemia non poteva credere che tutto fosse finito. O che si perpetuasse il segno negativo. Doveva avere modo di ricominciare e ricominciava simbolicamente bruciando ciò che era simbolo di disordine, di sovvertimento dell’ordine. E tornava a sperare. Tra i falò che più degli altri rimane nella memoria popolare collettiva ci sono quelli di San Giuseppe.

Protettore dei falegnami, dei lavoratori, dei papà, dei poveri, degli orfani, San Giuseppe gode in Sicilia di grande popolarità e viene festeggiato in tutta l’isola in momenti diversi. Sì perché la sua giornata non è solamente il 19 marzo ma poi anche lungo i due mesi successivi e ad agosto e a settembre. Chi vive in provincia di Ragusa ha ben nitida la memoria di una figura che a San Giuseppe in alcuni centri si materializzava per chiedere elemosine. Ne ha lasciato traccia persino da Bufalino: “Con un cappello azzurro da prete in testa, un saio dello stesso colore, lungo fino ai piedi, un bordone fiorito nel pugno, ’u patriarca andava alla questua senza scordarsi una porta.

Veniva scelto dal Parroco di San Giuseppe fra i vecchi falegnami…” o la spettacolare festa in suo onore a Scicli dove si organizza ancora oggi una meravigliosa cavalcata di San Giuseppe e le Tavole di Santa Croce Camerina. Ma ogni cittadina può raccontare la memoria dei suoi immancabili falò. Il fuoco che arde a San Giuseppe segna un punto di chiusura ben preciso: con quel fuoco brucia l’inverno e si dà il via alla primavera. Ma il fuoco non è solo appannaggio della festa del Patriarca: tra i fuochi rituali quelli della Settimana Santa possono essere considerati i più significativi.

La Pasqua è il momento apicale di tutto l’anno e il fuoco non manca ancora oggi nelle cerimonie liturgiche religiose. Segna l’accensione della vita. Segna la rinascita e la speranza. Non mancano i segni della resistenza del caos, si pensi ai Riauli di Prizzi, maschere demoniache che disturbano il sereno andamento della processione, ma questi segni sono lì per essere combattuti, abbattuti, cancellati, sconfitti. Con la morte del Cristo uomo e con la sua resurrezione si fa spazio alla rinascita della divinità in terra e dopo un bacio di benedizione di Maria la comunità torna a gioire di una gioia pazza.

Su tutti si posa lo sguardo dell’Uomo vivo di Scicli. U Gioia.

di Marcella BURDERI

La rubrica Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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