Ultime della sera. DIARIO DA UNA QUARANTENA

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
31 Marzo 2020 19:05
Ultime della sera. DIARIO DA UNA QUARANTENA

“Nonna, mi racconti qualcosa?” Le racconterò questi giorni, quando mia nipote mi chiederà com'era il mondo prima che lei nascesse. Le racconterò di come un virus, in un anno bisestile già cominciato male, arrivò all'improvviso nelle nostre vite, stravolgendo il nostro benessere, la nostra apparente serenità, le nostre certezze, i nostri progetti, le nostre piccole sicurezze quotidiane. Le racconterò di come un'epidemia ci cambiò, rivelandoci fragili e impauriti, allontanandoci gli uni dagli altri, chiudendoci nelle nostre case, minacciando la nostra stessa sopravvivenza, togliendo il cibo a tante famiglie, facendoci riscoprire ciò che veramente conta: l'essenziale.

Non butterò via niente di questi giorni, tutto servirà a diventare “memoria”: trasmissioni televisive, conferenze stampa, articoli di giornali, interviste, report epidemiologici, grafici, post sui social, commenti, discussioni infinite su numeri, curve, picchi, crescite lineari ed esponenziali (e devo dire che il mio vecchio esame di Statistica, che sembrava ormai sepolto in me, mi è venuto in soccorso). E, insieme a tutto questo, il mio personale diario della quarantena. Diceva  Enzo Biagi, a proposito del privilegio del suo mestiere di giornalista: “Ogni giorno, porta con se, bella o brutta, la sua storia, e tu sei lì a viverla anche per gli altri”.

Il privilegio nostro è vivere la storia in prima persona, è esserci nel momento in cui un microscopico microrganismo a forma di pallina da golf con una corona intorno sta cambiando per sempre le sorti dell'umanità. Non sprechiamolo questo privilegio, non disperdiamo la nostra memoria, conserviamo ogni singolo frammento possa servire a ricostruire, in futuro, questo nostro incerto, terrificante presente. Con la consapevolezza che, attraversato questo tsunami, abbiamo un mondo da ricostruire e dobbiamo farlo col meglio che ci è rimasto, con le risorse migliori, con gli uomini e le donne migliori, lasciandoci alle spalle il superfluo, l'inutile, la spazzatura che abbiamo prodotto in questi anni e tutti coloro che oggi Michele Serra, nella sua Amaca, chiama gli “inutili idioti”.

(“Gli inutili sono i cialtroni che non hanno studiato, non hanno letto, non hanno ascoltato, e vengono a spiegarti che cosa è successo solo sulla base dei loro pregiudizi, o della loro convenienza. Gli inutili sono i presuntuosi. Gli utili sono gli umili. Chiunque si sia messo a disposizione, dal farmacista al ministro, dall'infermiera al primario, dal volontario all'intellettuale. Chiunque abbia considerato l'ego come una subordinata del Noi”).   Diario 27 marzo, venerdì Roma, piazza San Pietro.

E' l'imbrunire. Pioviggina. La luce avvolge la piazza e la colora di un intenso blu-grigio. Il silenzio irreale è interrotto dal suono delle sirene. Un vecchio vestito di bianco attraversa la piazza. Incede con passo malfermo, claudicante. In questo venerdì di dolore che ricorderemo come il nostro venerdì Santo, di Passione e di Morte, il Papa venuto dall'altra parte del mondo sembra portare sulle spalle il peso dell’umanità intera. Prega, il Papa, davanti al Crocifisso di San Marcello venerato dai romani per aver fermato la peste nel '500.

Impartisce la benedizione Urbi et Orbi, concede l'indulgenza plenaria. Prega per salvare il mondo dalla pandemia, davanti ad una piazza deserta. Non è mai stato cosi solo. Neanche il genio di Sorrentino è stato capace di tanta potenza evocativa.. Noi, dalle nostre case, possiamo solo inginocchiarci davanti alla Storia.   28 marzo, sabato Siamo diventati tristi. Abbiamo smesso di dire che la quarantena è un'opportunità. Troppi morti, troppe bare sfilano davanti ai nostri occhi.

Abbiamo smesso di cantare dai balconi, abbiamo smesso di suonare. Abbiamo smesso di colorare cartelloni, di urlare “Andrà tutto bene” dalle finestre. Ce lo ripetiamo però a bassa voce, scacciando via le lacrime, come un'orazione. Abbiamo smesso di preparare dolci, di dilettarci in gare culinarie, di pubblicare le foto dei nostri capolavori gastronomici sui social. Ma abbiamo imparato a fare tutto da casa. Lavoriamo, inviamo email, facciamo operazioni bancarie, ordiniamo la spesa e i farmaci a domicilio.

Abbiamo scoperto che il mondo è tutto a portata di un click. Ci dicono che l'aria è più pulita, che l'inquinamento è diminuito, che gli animali si stanno riappropriando delle città. Peccato non poterne godere. Abbiamo imparato ad essere una comunità solidale. Facciamo la spesa anche per gli altri, aggiungendo ai pacchi di pasta, al latte e ai pelati anche il cioccolato, i biscotti e il sapone per le mani e lo shampoo. Abbiamo scoperto che la povertà è dietro l'angolo, che il nuovo povero è l'amico negoziante o il vicino di casa imprenditore, questo virus ha sovvertito ogni ordine e regola, chi ancora può dona qualcosa a chi non può più.

Le foto di torte, focacce e pizza  lasciano il posto agli appelli di aiuto, ai numeri di telefono solidali, ai numeri di conto corrente su cui donare.   29 marzo, domenica Lo confesso, non ho fatto nulla di quello che avrei voluto fare. Non è vero che il tempo della quarantena è un tempo dilatato, un tempo amplificato, l'occasione della vita per fare ciò che in altri momenti non avresti mai fatto. Il tempo della quarantena è un tempo sospeso, un tempo d'attesa, un tempo di dolore.

In certi momenti è come stare sull'orlo di un burrone in attesa che qualcuno arrivi per spingerti giù. Quindi non ho pulito la casa, non ho lavato le persiane, non ho sistemato lo sgabuzzino, non ho imparato a fare il pane, non ho parlato di Manzoni con mio figlio, non ho tirato fuori le vecchie foto né ordinato i documenti nel pc, non ho letto “La peste” di Camus né tutti i libri mai letti accumulati negli anni nella mia libreria. “C'è un tempo perfetto per fare silenzio”, canta Ivano Fossati.

Quel tempo è ora. Non ho parole per scrivere né per raccontare. Aspetterò che tornino, il silenzio si fa strada dentro me, chiede di essere assecondato.   30 marzo, lunedì Scorrendo giornali e social, sembra che ieri mi sia persa una pagina storica di tv. La D'Urso e Salvini che recitano l'Eterno riposo in televisione. Anche se, da come biascica le parole, fa notare Gramellini, si capisce benissimo che per Salvini è la prima volta. Chissà se in questo mondo post epidemia che ci attende, quello in cui tutti diventeremo migliori a detta dei più, il trash e lo squallore saranno spazzati via.

Chissà se questo virus è venuto davvero per liberarci dal peggio o è solo un'illusione. Oggi è il giorno in cui si comincia ad intravedere una luce in fondo al tunnel. I dati che la Protezione Civile snocciola ogni giorno come un rosario sembrano aver preso una piega migliore, anche il viso di Borrelli sembra meno teso, a tratti sembra che accenni un sorriso. Ormai i numeri abbiamo imparato a leggerglieli in faccia prima che li pronunci. Si cominciano a fare ipotesi su come e quando riaprire.

Per un attimo il futuro non è un'incognita, non è un ipotesi, non è un abisso che ci inghiotte. E' aria fresca, è spazio senza recinto, è ripartenza, è rimboccarsi le maniche e ricominciare. E' presto, ci dicono, non è un “libera tutti”. Anziani, restate a casa. Gli anziani scalpitano. Sanno che gli resta poco da vivere e questo poco non vogliono sprecarlo in restrizioni e privazioni liberticide. Come dargli torto? Ok, è presto, ma la speranza è una fiammella, fioca e tremante, e a quella ci aggrappiamo.

Cosa è la prima cosa che volete vedere, ci chiedono? Noi adulti pensiamo al mare, alle grandi distese, alla campagna, ai viali dove correre al tramonto, alla pizza con gli amici. “I nonni!”, rispondono invece i bambini. Senza che lo sappiano, in questa parola è racchiuso quello che tanti di loro hanno perduto in questo mese maledetto e che altri, i più, per fortuna ritroveranno. I nonni.   Catia Catania

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