All’inizio della vicenda mi ero ripromesso di non pronunciare pubblicamente il suo nome, una sorta di rispetto anche nei confronti delle autorità, a più livelli, che dovevano intervenire in maniera decisa fin dalle prime ore (sono quelle importanti ai fini della soluzione; il trascorrere dei giorni alimenta il nervosismo anche da parte dei sequestratori che cominciano ad “innalzare” artatamente le richieste con accuse costruite ad hoc). Dopo poco meno di 30 giorni dal sequestro dei due motopesca di Mazara del Vallo, “Antartide” e “Medinea” a 35 miglia dalle coste libiche e la successiva incarcerazione a El Kuefia, a 15 km a sud est da Bengasi, di diciotti pescatori, la situazione, nonostante continuino ad arrivare dal Governo italiano ma anche a livello locale rassicurazioni su una presunta trattativa e l’invito al massimo riserbo, appare ancora poco chiara, complessa, e sempre più complicata.
Quello che fa ancor più rabbia, e fa anche riflettere sulle dubbie modalità con le quali il Governo sta gestendo la vicenda, è che fino ad oggi le famiglie di quei pescatori non sono state contattate, incontrate di persona da parte del ministro degli Esteri Luigi Di Maio (lo stesso che poche ore prima del sequestro dei motopesca si trovava in visita in Libia, a Tripoli però, dal governo riconosciuto dall’Onu) e dallo stesso premier Giuseppe Conte (che qualche anno ricevette a Palermo proprio il generale Khalifa Haftar, colui che comanda nella Libia Cirenaica ove sequestrati i pescherecci).
Una delegazione dei familiari dei pescatori sequestrati con gli armatori Marco Marrone e Leonardo Gancitano si trova da più di una settimana a Roma. Hanno esposto striscioni chiedendo la liberazione dei pescatori, hanno incontrato diversi esponenti politici ma nessuno del Governo (nonostante qualche suo rappresentante li abbia notati attraversando piazza Montecitorio) li ha finora incontrati; eppure il loro dramma e la vicenda del sequestro sta cominciando ad essere affrontata come si deve da alcuni programmi delle tv nazionali.
Il noto giornalista Toni Capuozzo, un esperto di crisi internazionali, ha stigmatizzato la poca attenzione riservata alla vicenda ponendola a confronto i sequestri di giornalisti o volontari italiani avvenuti negli ultimi anni nelle diverse aree di crisi del mondo. Pertanto dopo un mese dall’inizio della vicenda, considerate le poche notizie da Bengasi e da Roma, il suo nome e la sua figura viene sempre più evocata, ricordata. Qualcuno fin dalle prime ore della stessa vicenda ha sottolineato che questa è una situazione ben più complessa dalle altre del passato.
Si è complessa e più complicata perché probabilmente chi se ne sta occupando, a diversi livelli politici, ha meno capacità rispetto ai loro predecessori di leggere le complesse dinamiche che agitano il Mediterraneo. Probabilmente non sono stati ben coltivati i rapporti con quei Paesi che hanno un certo ascendente sullo stesso generale Haftar, parliamo della Russia di Putin (inviso all’establishment antipopulista europeo guidato dalla tedesca Merkel che invece si è dimostrato vicino alla Turchia del dittatore Erdogan che senza chiedere permesso all’Europa è entrato nell’affare Libia sostenendo con armi e soldi il governo di Tripoli avverso allo stesso Haftar); parliamo anche dell’Egitto (Paese, primo sostenitore di Haftar, e con il quale l’Italia, probabilmente per non compromettere interessi di lobby dell’energia non si mostrata decisa a fare chiarezza sulla vicenda del povero Giulio Regeni e ultimamente su quella relativa all’incarcerazione, da mesi, dello studente Patrick Zaki).
Era complessa la vicenda che vide il 7 giugno 2012 il contemporaneo sequestro di ben tre pescherecci mazaresi “Boccia”, “Maestrale” e “Antonino Sirrato” da parte da un gommone con a bordo miliziani cirenaici in quelle stesse acque internazionali che la Libia dal 2005 reclama di sua competenza con la ZEE, riconosciuta formalmente da nessuno Stato, che si estende 62 miglia oltre le 12 territoriali. I tre pescherecci –come ha raccontato l’armatore del Maestrale, Vito Margiotta- furono portati con la forza (i miliziani spararono anche colpi di mitra) a Bengasi.
Quello fu il primo sequestro di pescherecci siciliani in Libia dopo la caduta di Gheddafi. A comandare quella parte della Libia era un gruppo di miliziani, non vi era un comando centrale; ancora il generale Khalifa Haftar non era stato incaricato da qualche potenza occidentale a prendere in mano le sorti di una vera e propria guerra civile che impazzava in tutta la Libia dove si registrava un pericoloso vuoto di potere. In quel contesto, probabilmente più difficile di quell’odierno, fu lui, Giovanni Tumbiolo, a seguire di persona fin dalle primissime ore la vicenda grazie ai suoi ottimi rapporti con la diplomazia italiana e con i suoi contatti a Bengasi.
Tumbiolo (vedi in foto di copertina) aveva un “metodo” che si concretizzava grazie alla sua straordinaria capacità di stringere rapporti, anche personali, da rappresentanti diplomatici di palazzo fino al miliziano che controllava i pescherecci ormeggiati nel porto di Bengasi, in mezzo vi erano una serie di figure che soltanto lui riusciva ad interpellare realizzando una sorta di “diplomazia parallela” che gli consentiva di risolvere anche le situazioni che apparivano intricate; non è un caso che proprio nel corso del suo penultimo “Blue Sea Land” fu definito da diversi rappresentanti di Paesi del Mediterraneo, Africa e Medoriente, partecipanti alla kermesse da lui ideata, “Ambasciatore del Mediterraneo”.
“Oggi più che mai –ha detto l’armatore Vito Margiotta in un’intervista- si sente la mancanza di una grande figura come quella di Giovanni Tumbiolo, che allora si è prodigato per il rilascio degli uomini e delle imbarcazioni, con la sua presenza in Libia, intrattenendo rapporti umani e personali con i miliziani seppe portare a buon fine una vicenda particolarmente complessa che per certi versi ha delle similitudini con quella odierna. Dopo trenta lunghissimi giorni 21 uomini e le imbarcazioni fecero ritorno a Mazara”.
Eppure, nonostante gli fossero riconosciuti meriti indiscutibili per queste sue uniche capacità, Giovanni Tumbiolo –bisogna dirlo senza polemica, “intelligenti pauca” soleva dire lo stesso Giovanni- proprio nella sua Città, Mazara del Vallo, proprio in quell’ambiente della pesca, il cui padre Leonardo contribuì grandemente, veniva spesso osteggiato ed invidiato. Oggi, probabilmente alla luce dei fatti, anche questi cominciano a rimpiangere quell’uomo che amava definire, con piena ragione, ogni peschereccio mazarese un vero “miracolo umano”, luogo ove quotidianamente lavoratori di diverse origini, culture e religioni, lavoravano gomito a gomito, condividendo gioie e dolori che soltanto il mare riuscirebbe a raccontare.
“Non abbiate mai paura dell’ombra. E’ lì a significare che vicino, da qualche parte, c’è una luce che illumina (Ruth E. Renkel)”. Francesco Mezzapelle