Scomparso senza lasciare traccia in una storia che non ha mai smesso di appassionare e che ha sollevato mille domande ancora aperte: proprio 80 anni fa svaniva improvvisamente nel nulla il fisico Ettore Majorana, il più silenzioso e schivo dei “ragazzi di via Panisperna” che ruotavano intorno a Enrico Fermi. Capace di trascorrere giorni interi immerso nei calcoli, chiuso nella sua stanza, Ettore Majorana è sparito senza lasciare traccia il 27 marzo 1938.
Fuga o suicidio: sono state le ipotesi che da allora hanno cominciato ad alternarsi senza mai trovare risposta. La sera della sua scomparsa Majorana era partito da Napoli, dove gli era stata offerta una cattedra, con un piroscafo diretto a Palermo. Aveva annunciato la sua intenzione di sparire in una lettera al suo amico di Napoli, Antonio Carrelli, ritrattata l'indomani con un'altra lettera. Aveva anche scritto alla famiglia, raccomando: "ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero". Da allora in poi non ci sono state notizie. (in foto n.2 l'annuncio della scomparsa di Ettore Majorana sulla Domenica del Corriere di 80 anni fa).
Le indagini, scattate nei giorni successivi, non hanno portato a nulla e il suicidio è stata solo una delle innumerevoli ipotesi avanzate negli anni. Alcuni avevano pensato a una fuga in Germania, altri in Argentina sulla base di testimonianze lo avrebbero segnalato a Buenos Aires, altri lo avevano segnalato in Venezuela fra il 1955 e il 1959, tanto che su questa base la Procura di Roma aveva riaperto il caso nel 2011, subito archiviato. Tra i familiari di Ettore Majorana c'è stato chi era convinto che avrebbe potuto chiudersi in un monastero.
Un'altra ipotesi, stranamente e rapidamente smentita da organi ufficiali, lo avrebbe identificato con un barbone particolarmente dotato per la matematica che vagava per le strade di Mazara del Vallo. Infatti è stato ipotizzato che il barbone, di nome Tommaso Lipari, vissuto dal 1940 al 1973 a Mazara e che veniva chiamato "l'uomo-cane" ("Omu Cani") fosse in realtà Ettore Majorana, il famoso scienziato scomparso misteriosamente quel 27 marzo 1938.
Quel barbone diceva di venire dall’Africa. Mangiava quel che trovava rovistando tra i rifiuti; al suo arrivo a Mazara, all’inizio del 1940, dormiva all’aperto in un incavo dei ruderi del Castello Normanno. Si appoggiava ad un bastone munito di uno spillo all'estremità inferiore con il quale raccoglieva mozziconi con cui confezionava sigarette che poi fumava. Non ha mai chiesto l’elemosina: al contrario, rifiutava con fare scorbutico qualunque offerta gli venisse fatta.
Se poi qualcuno provava a porgli delle domande, si allontanava scontroso senza degnare di uno sguardo il curioso passante. Indossava sempre strani berretti e strati di abiti uno sull’altro; portava sempre con sé contenitori, buste e sacchetti pieni non si sa di cosa. Non fu mai stato molestato da alcuno; anzi, sembrava godere della comprensione e del rispetto di tutti. (in copertina una foto dell’uomo-cane seduto su una panchina del lungomare Mazzini, gentilmente concessa dal prof.
Pino Catalano attraverso il suo bel blog MazaraCult).
Nell’estate del 1973, l’”Uomo cane” fu trovato morto sui gradini della statua di San Vito di piazza della Repubblica ove amava sostare per ore. In suo onore Mazara organizzò un solenne funerale, a cui i cittadini parteciparono in massa. E non mancò chi, in quell’occasione, tenne commosse orazioni funebri.
Sul “giallo dell’uomo-cane” Attilio Bolzoni scrisse un articolo su La Repubblica pubblicato il 29 aprile 1988 che parlava della possibilità che quel barbone vissuto a Mazara del Vallo potesse essere in realtà il fisico Ettore Majorana. Ecco quanto scriveva Bolzoni:
“Il mistero è in trentasette pagine. Un manoscritto che il procuratore Borsellino legge e rilegge da alcuni giorni alla ricerca di un indizio. Dentro c' è la storia dell' uomo-cane, la storia di un barbone dal passato ancora sconosciuto. Sulle sue tracce ci sono due pensionati di Mazara del Vallo, una squadra di poliziotti, un magistrato. C'è anche lo scrittore Leonardo Sciascia che, tredici anni dopo la pubblicazione del suo libro, ha ripreso gli strumenti dell' investigatore per seguire le orme di Ettore Majorana, il fisico catanese scomparso la sera del 25 marzo del 1938 sulla rotta Napoli-Palermo.
Un giallo che ha mezzo secolo, un caso riaperto improvvisamente dalle rivelazioni di Edoardo e Armando Romeo, due fratelli di Mazara del Vallo che giurano sulla vera identità di quel barbone vissuto per trentacinque anni nella loro città: ‘Noi dubbi non ne abbiamo: era Ettore Majorana’. Una verità confidata dallo stesso barbone una sera di giugno sulla spiaggia bianca di Mazara, un segreto che doveva rimanere tale per almeno quindici, vent' anni. Il barbone Tommaso Lipari era davvero il fisico Ettore Majorana? Il racconto dei due pensionati contro lo scetticismo di Leonardo Sciascia.
Lo scrittore di Racalmuto è arrivato a Mazara del Vallo la mattina del 5 dicembre dell'anno scorso incuriosito da una lettera spedita nove giorni prima. Una segnalazione di Edoardo e Romeo allo scrittore: ‘Desidererei che Ella venga nella mia Mazara del Vallo, via Pisa 14, per esporLe la vita di Ettore Majorana trascorsa qui dal 1938 al 1973, anno questo della sua effettiva morte, e dove è sepolto nel cimitero comunale sotto altro nome....’. Una lettera e un promemoria con le prove della verà identità del barbone Tommaso Lipari: 1) una verga-bastone sulla quale erano incise le iniziali di Ettore Majorana e la sua data di nascita: 5 agosto 1906; 2) la foto che riprendeva una cicatrice sul dorso della mano destra dell' uomo; 3) la somiglianza impressionante tra il viso di Tommaso Lipari e quello della madre del fisico catanese.
Leonardo Sciascia incontra Edoardo e Armando Romeo alle dieci del mattino al terzo piano di una palazzina di via Pisa, a Mazara, a qualche decina di metri dal porto-canale. Parlano per un paio d' ore, i due pensionati mostrano carte e certificati di nascita e di matrimonio, Sciascia ascolta in silenzio e con una lente di ingrandimento scruta le decine di fotografie del barbone Tommaso Lipari conservate nei cassetti di Edoardo Romeo. Lo scrittore se ne va e, qualche mese dopo, il 2 marzo, scrive ai fratelli Romeo: ‘...Escludo in modo assoluto che il Tommaso Lipari vissuto per tanti anni a Mazara possa avere avuto altra identità.
Tutti gli elementi che lei può assommare per dimostrare il contrario, non dimostrano nulla, non arrivano al valore di una prova’. E osserva ancora Sciascia: ‘La prova, invece, che Lipari era Lipari sta nell' archivio del commissariato di Mazara. Questa è, comunque, la mia convinzione. Personaggio interessante, il Lipari: e io, quando potrò, tornerò a Mazara per saperne di più’’. Lo scrittore smonta la tesi dei due pensionati e trova una traccia sull'identità di Tommaso Lipari in un fascicolo del locale commissariato di polizia.
Il barbone era stato arrestato, per oltraggio a pubblico ufficiale, nel 1938 e nel 1948. Per due volte viene fotosegnalato e processato. E si racconta a Mazara, per ben due volte è arrivata in città, da Moncalieri, anche Giuseppina Gambetta, la moglie di Tommaso Lipari, per un riconoscimento del marito. Ma queste sono voci, storie che si raccontano nelle viuzze che scendono al porto o salgono fin nella casbah dei pescatori tunisini. Non c' è un solo documento ufficiale sul riconoscimento.
Non c' è però un solo documento che dimostri che quel barbone non fosse davvero Tommaso Lipari. Il giallo forse sarà chiarito tra qualche giorno, quando le impronte digitali del detenuto Tommaso Lipari del 1938 saranno confrontate con quelle del detenuto Tommaso Lipari del 1948. Un esame facile per la polizia scientifica che ha affidato anche ad un esperto una perizia grafica sulla firma di un verbale di interrogatorio del barbone. Queste indagini tecniche diranno se l' uomo-cane era quel Tommaso Lipari nato a Tunisi il 14 aprile del 1900 e residente, nel 1985, in Piemonte, a Moncalieri.
‘Il nostro obiettivo -ha spiegato il procuratore Borsellino- innanzi tutto è accertare l' identità di Lipari e se c' è stato un falso nel momento della redazione dell' atto di morte. Poi il resto si chiarirà. Il fascicolo su Tommaso Lipari al commissariato di Mazara è scarno. Una carpetta rossa con qualche foglio di interrogatorio, una segnaletica, una nota informativa che definisce il vagabondo uno squilibrato mentale. ‘Le prove dell' identità di quell' uomo nel mio commissariato?’ ci chiede il vicequestore di Mazara del Vallo Livio Mangia, ‘non so, non credo, chissà..’.
Negli archivi del Comune il barbone risultava essere proprio Tommaso Lipari nato a Tunisi nel 1900. Ricorda Alberto Murgio, per tanti anni assessore all' anagrafe: Nessuno ha mai avuto un sospetto sull' identità dell' uomo-cane... tranne i fratelli Romeo. I due pensionati non si arrendono e annunciano clamorose novità per provare una volta per tutte chi fosse in realtà il barbone che per trentacinque anni si è cibato di rifiuti sotto la statua di San Vito”.
Si confrontarono allora le due firme apposte nei registri carcerari e i periti calligrafici conclusero che, seppure risalenti a periodi diversi, erano assai simili, Tommaso Lipari risultava Tommaso Lipari. Ciò portò Paolo Borsellino ad archiviare subito la pratica. Ma i dubbi rimasero, vedi le suddette prove elencate dai fratelli Romeo. Proprio su quel bastone, che l’uomo-cane portava sempre con sé, si è concentrata l’attenzione del compianto criminologo Gaetano Savatteri. In esso vi sarebbero dei segni propri della simbologia della fisica,come pure nella sua collanina.
Tanti, ancor oggi, pensano che la versione dei fratelli Romeo fosse fondata. Ci sono alcuni aneddoti che alimentano questo mistero che avvolge la Città di Mazara. Si racconta un giorno di inizi estate dei primi anni ‘70 che mentre lo stesso uomo-cane stava in piazza della Repubblica arrivò un auto di grossa cilindrata, una lussuosa berlina dal quale scesero due uomini ben vestiti che dopo una animata discussione gli chiesero di salire in macchina. Alla richiesta l’uomo-cane si sarebbe sottratto elegantemente, così i gentiluomini risalirono sulla berlina nera e andarono via.
La figura dell’”Uomo cane” ha acceso la fantasia di scrittori e artisti. Ferruccio Centonze, narratore e commediografo di talento, scrisse, negli anni Cinquanta, l’opera teatrale “Chi ha ucciso l’Uomo cane?”. Più tardi, nel 2003, Bibi Bianca realizzerà un mediometraggio ispirato dal romanzo di Ignazio Bascone, “Tommaso, l’Uomo cane”. Di recente anche un giovane attore teatrale, Davide Dolores, di origini mazaresi ma residente in Veneto fin da piccolo, ha dedicato al misterioso clochard il suo monologo “Omu Cani” che ha ricevuto molti apprezzamenti dai critici che hanno potuto assistere allo spettacolo nei diversi teatri italiani.
Il caso è però tutt'altro che archiviato soprattutto per i fisici che continuano a studiare le teorie di Ettore Majorana. Ci sono voluti 80 anni per riuscire a vedere la particella dalle proprietà stravaganti previste nel 1937, che sono contemporaneamente il loro opposto nell'antimateria, i cosiddetti "fermioni di Majorana", visti solo nell'ottobre 2014. Un altro rompicapo è quello dei b. Per un momento nel 2011 i dati dell'esperimento Opera avevano fatto pensare ad una conferma, ma poi si sono rivelati frutto di un errore. La teoria è invece ancora lì, con l'ipotesi che in particolari condizioni le particelle possano assumere una massa 'immaginaria' che le svincolerebbe dalle equazioni imposte dalla teoria della relatività.
Francesco Mezzapelle
28-03-2018 9,00
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