Mazara, quel sarcofago dedicato al mito di Endimione, testimonianza del neoplatonismo in Sicilia occidentale

Redazione Prima Pagina Mazara
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31 Gennaio 2021 18:12
Mazara, quel sarcofago dedicato al mito di Endimione, testimonianza del neoplatonismo in Sicilia occidentale

Durante i lavori di restauro eseguiti, nell’autunno del 1999, nella Cappella dell’Immacolata presente all’interno della Cattedrale di Mazara del Vallo, in una delle cinque fasi individuate, è stato rinvenuto un pregevole sarcofago marmoreo del tipo a lenòs. La sua collazione in questo contesto, sicuramente riconducibile ad un suo riutilizzo (probabilmente per accogliere le spoglie di un vescovo), si data ad un periodo di poco antecedente alla sistemazione barocca del complesso cultuale (XVII sec.).

Il sarcofago, che in base a delle comparazione stilistiche e tecniche si può datare intorno alla metà del III sec. d. C., è caratterizzato da una decorazione a rilievo che si rifà al mito di Endimione. Esistono diverse versioni del mito, ma con il medesimo esito. Infatti, la mitologia narra che Endimione fu un pastore dell’Anatolia che, grazie alla sua bellezza, fece innamorare Selene, la luna, la quale ogni notte col suo carro attraversava la volta celeste. Personificandosi in una bellissima donna, fece anch’essa breccia nel cuore di Endimione che però, per via di questo amore impossibile (appunto tra un essere divino e un umano), accettò la sorte di “vivere” in un permanente stato di sonno che non lo faceva invecchiare.

Solo in questo modo, infatti, Selene poté continuare ad amarlo. Così ogni notte lo andava a trovare fino a che non giungesse l’Aurora, l’alba, momento in cui Selene si immergeva nelle acque gelide dell’Oceano, lasciando il posto al fratello Helios, il sole, per poi riprendere, ciclicamente, il suo corso ogni sera dopo il tramonto. Questo mito, come anche nelle altre attestazioni in cui è presente, è di facile interpretazione sul lato principale del sarcofago mazarese. La lettura, inoltre, segue il corso naturale dell’astro lunare rappresentato da Selene, ovvero da Est ad Ovest, quindi da destra a sinistra.

Infatti, nell’estremità destra è possibile scorgere la figura di Endimione mentre dorme e, vicino a lui, quella di Hypnos, il Sonno, che regge una sorta di cornucopia che, secondo la tradizione, era composta da fiori di papavero. La scena segue con la rappresentazione di Selene che, scendendo dal proprio carro, si appresta a raggiungere l’amato, accompagnata da un Erote, figura che rappresenta l’amore divino. Un altro, sorvola una coppia di buoi usati per trainare il suddetto carro di Selene.

Sotto alla raffigurazione di questi animali, si trova la personificazione di Tellus, la Terra, accanto ad un infante che sbuca dal suo ventre e ad una capretta, come simboli della fecondità e prosperità della Terra stessa. Al centro esatto del rilievo, vi è la rappresentazione di una figura femminile, Aurora, che, intenta a bloccare i buoi, funge da elemento di divisione tra la scena appena descritta, in cui avviene l’incontro tra Selene ed Endimione, e la scena in cui Selene stessa si appresta a muovere più velocemente possibile verso sinistra, al dì sopra di un carro trainato, questa volta, da una coppia di cavalli.

Anche in questa parte di scena si trova la presenza di un Erote (sopra la coppia di cavalli) e di elementi riconducibili al mondo agreste, ovvero alcune piccole capre. All’estrema sinistra, invece, si può scorgere la figura di un vecchio seduto con accanto due figure che, secondo ad altre interpretazioni, starebbero a rappresentare Pan ed una Ninfa. Resta incerta, dunque, l’identificazione della figura del vecchio. Non sarebbe da escludere, seguendo la lettura attenta del mito, che si tratti della personificazione di Oceano con accanto le ninfe Oceanine, sue figlie.

Infatti, è proprio verso di lui che è indirizzato il carro di Selene per, come menzionato sopra, immergersi nelle sue acque dopo l’avvento dell’alba o Aurora (la figura femminile al centro). Altre raffigurazioni, seppur eseguite con una tecnica diversa rispetto il lato principale, si trovano nei lati corti del sarcofago ed hanno una tematica prettamente bucolica: sul lato sinistro è rappresentato un giovane pastore, posto accanto al tronco di un albero, insieme a tre pecore; mentre sul lato destro vi è la medesima scena ma con l’eccezione di esservi una sola pecora e un vecchio pastore.

Anche qui, la presenza del giovane e del vecchio pastore potrebbe avere una valenza, non solo bucolica, ma ciclica, rappresentando il giorno che è “giovane” non appena la luna scende nelle acque dell’oceano lasciando il posto al sole (a sinistra) ed è “vecchio” quando si appresta a giungere la notte (a destra). Il mito descritto in questo sarcofago vuole rappresentare un amore che va al dì là della morte (il sonno di Endimione) e che permane nell’eternità ed è, probabilmente, ciò che ha voluto suggellare il committente in ricordo della defunta moglie (infatti, la rappresentazione di Endimione ha caratteristiche - il viso e l’acconciatura – femminili).

Questo concetto di eternità, che fa dunque da chiave di lettura del mito raffigurato nel sarcofago mazarese, si lega fortemente all’interpretazione che viene data dalla filosofia neoplatonica, la cui presenza nel territorio della Sicilia occidentale è attestata proprio nel periodo coevo in cui è stato realizzato questo reperto marmoreo (III sec. d. C.). Infatti, a Lilibeo (odierna Marsala) visse per diversi anni il filosofo Porfirio di Tiro che fu allievo di Plotino, padre della filosofia neoplatonica.

Quest’ultimo definiva l’eternità come «vita in stato di quiete, identica e sempre uguale, infinita in atto» (III 7, 11. 45-46), dunque caratterizzata dalla ciclicità infinita che fa da sfondo all’amore tra Selene ed Endimione. Oggi, e già da diversi anni, il sarcofago si trova nell’ufficio di don Edoardo Bonacasa, parroco della Cattedrale di Mazara del Vallo, il quale auspica di vedere presto lo stesso sarcofago esposto al pubblico, magari insieme agli altri quattro (tre romani ed uno dedicato a Tustino, uno dei primi vescovi di Mazara) presenti nella stessa Basilica, qualora il progetto di pavimentazione della Cappella dell’Immacolata fosse approvato dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Trapani.

Francesco Adamo - Archeologo  

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