Quest’anno, ad agosto, ricorrerà il 40esimo anniversario della presenza a Mazara del Vallo delle Suore Francescane Missionarie di Maria. Le Suore furono chiamate dall’allora Vescovo della Diocesi, Mons. Costantino Trapani, per occuparsi della comunità immigrata in Città, quella di origine tunisina, per seguirla nel suo primo inserimento stabile nel quartiere della kasbah. Il gruppo, composto da tre/quattro suore, iniziò ad operare nell’assistenza sociale e sanitaria. Dell’attività della piccola fraternità (il gruppo di Suore Missionarie), e delle questioni relative all’immigrazione nel centro storico mazarese abbiamo parlato con Suor Alessandra Martin, padovana, da circa sei mesi a Mazara del Vallo.
Suor Alessandra, la sua missione a Mazara del Vallo è stata frutta di una decisione volontaria? “Il nostro è istituto missionario operante in diverse parti del mondo. Sono arrivata a Mazara del Vallo in obbedienza ad un invio missionario da parte dalla superiora provinciale e di quella generale. Mi è stato chiesto di unirmi a questo gruppo per continuare il progetto missionario al servizio delle minoranze, quella araba e rom. Io vengo da un’esperienza a Siracusa dove mi sono occupata di disagio in ambito familiare.
Questa terra, la Sicilia, mi ha praticamente adottato. Nel mio percorso di formazione per diventare una consacrata ho lasciato la mia terra 20 anni fa. La responsabile-coordinatrice della fraternità qui a Mazara del Vallo è Suor Paola. All’interno della fraternità viviamo una relazione di interdipendenza, comunitaria, obbedienza nello stile francescano”. Qual’è l’impegno delle Missionarie a Mazara del Vallo? “Dopo 40 anni la nostra attività si è delineata più marcatamente con la fondazione nel 2011 della “Casa della Comunità Speranza” (in via Pescatori) con il sostegno a livello educativo dei bambini e dei ragazzi della seconda e terza generazione delle famiglie tunisine.
Lavoriamo con circa 200 figli di famiglie immigrate, tunisine e rom, ma anche mazaresi. E’ un luogo bello, di aggregazione, dove si sono stabiliti bei legami anche fra adulti e ragazzi. Vi lavorano degli operatori, 4 giorni a settimana, abbiamo creato dei laboratori ludico-aggregativi, il mercoledì e sabato, per attività sportive, danza, cucito, teatro. Abbiamo due gruppi di ballo: uno di danza tradizionale rom, ove ballano insieme italiani, rom e tunisini. Poi vi è un maestro di break dance e hip-hop, Amir, è un ragazzo rom che lavora molto con i piccoli; è stato così costituito il gruppo “United Crew”, con ragazzi di diverse nazionalità, che ha partecipato alla trasmissione Rai “Ballando sotto le Stelle”.
Come si relazionano con il contesto locale i ragazzi figli di immigrati? “L’integrazione per i grandi in parte avviene nel territorio attraverso il rapporto con gli autoctoni nel contesto, lavorativo e sociale. Il passaggio successivo, e qui sarebbero decisivi i più piccoli, dovrebbe essere l’inclusione e ciò sta avvenendo attraverso il percorso scolastico dei figli. Si stabiliscono rapporti extrascolastici, le feste di compleanno fra compagni di scuola, le uscite nel week-end, vi sono le premesse per processo di inclusione più ampia.
Quasi tutti i bambini e ragazzi che vengono da noi sono nati a Mazara del Vallo, il nostro è un centro aperto a tutte le provenienze”. Di fronte ai fenomeni di devianza giovanile come operate? “Molti giovani hanno superato questi rischi ma sono consapevoli che per evitarli bisogna partire per trovare lavoro altrove, pertanto noi li indirizziamo nel migliore dei modi. Per quanto riguarda i ragazzini a serio rischio, seguiamo, monitoriamo i vari casi, insieme , se possibile, alla famiglia e alla scuola, creiamo una struttura di sostegno.
La Comunità non giudica i ragazzi per i loro errori o per il loro vissuto, la porta è aperta senza pregiudizi e condanne. Nel tempo questo metodo risulta importante per far riacquistare fiducia in loro stessi ed offre loro, al contrario di contesti punitivi, un’altra visione, positiva del loro vissuto”. Il contesto socio-economico e le istituzioni locali favoriscono questo processo di inclusione? “Si potrebbe fare molto di più sviluppando l’economia legata alle imprese sociali. Quello mazarese è un tessuto che avrebbe molte risorse.
Purtroppo il crollo del settore della pesca e del suo indotto si avverte in maniera forte; molte famiglie di immigrati tunisini vivevano in maniera più che dignitosa. Oggi molti pescatori, a 50 anni, hanno perso il lavoro, difficile trovarne un altro in un territorio in parte a loro sconosciuto visto che sono stati gran parte della loro vita in mare. Ci sono stati pescatori tunisini partiti con le loro famiglie, non solo per tornare in Tunisia, ma anche in altre regioni italiane per trovare impiego nel campo marittimo, e non solo nella pesca”.
Cosa servirebbe per creare lavoro per i giovani nel centro storico? “Servirebbe sviluppare la microeconomia, rivitalizzare la kasbah, il centro storico. In questi anni è stato riqualificato da un punto di vista estetico, è innegabile. Però bisogna fare un ulteriore passo: riaprire botteghe, incentivare piccoli lavori artigianali, attivare tirocini formativi, la piccola economia sociale attraverso il coinvolgimento dei giovani immigrati e autoctoni. Ciò darebbe davvero una grande speranza a tanti ragazzi che vedono solo come prospettiva la partenza da Mazara”.
Com’è il vostro rapporto con le istituzioni locali? "Abbastanza buono. Vi è molta collaborazione con l’Amministrazione comunale, ed in particolare con le Politiche Sociali, grazie al lavoro svolto da Suor Paola” Come è il rapporto fra autoctoni e comunità immigrate? “Ho pochi elementi, conosco ancora poco la popolazione. Quello che mi sembra di cogliere è una vicinanza fra le due realtà, però timida, una pacifica convivenza, ci si rispetta. I mazaresi hanno una naturale indole all’accoglienza.
Lo stile di vita arabo non crea problemi ai mazaresi, non si sono creati dei ghetti". E fra le comunità nordafricana e slava? “Ci sono belle esperienze di inclusione e di amicizia fra i giovani e ciò influenza anche i rapporti fra le famiglie. Le nostre iniziative trovano molto entusiasmo e partecipazione. I ragazzi fra di loro sono amici, se litigano mentre giocano lo fanno per divergenze personali e non certo per differenze di origini, lingua o colore della pelle”. Vi è a Mazara un rischio di estremismo religioso? “Credo di no.
La comunità musulmana è abbastanza accogliente. A noi suore ci chiamano sorelle. Non ci sono mai stati casi di intolleranza. Nella quotidianità si è creato un contesto lontano dalla possibilità di forme integraliste. D’altronde si tratta di una comunità arrivata qui per motivi lavorativi, con ricongiungimento delle famiglie, molte delle quali risiedono qui da 50 anni. E’ un contesto molto aperto”. Franceso Mezzapelle 06-05-2018 9,45