​La costa degli orizzonti vicini

Il litorale occidentale dell’Isola quale cerniera culturale tra la vicina Africa e la Sicilia

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
25 Marzo 2022 10:30
​La costa degli orizzonti vicini

In un passato ormai lontano, legato alla mia infanzia, ricordo quando l’approssimarsi dell’estate oltre ad essere distinta dalla dolcezza dell’atmosfera delle giornate e dai profumi di maggio era caratterizzata anche (in alcune mattine) dal fragore ritmico del calpestio dei piedi di noi scolari sul pavimento dell’atrio della Scuola Elementare Daniele Ajello, marcia statica questa associata al nostro vociare che all'unisono sillabava “passeggio, passeggio”. Al che, dalla porta della direzione, usciva con fare marziale ed austero il direttore Incalcaterra che dopo un solenne richiamo e la ramanzina di rito, finalmente ci autorizzava l’uscita, invitandoci a comportarci bene.

Ho sempre sospettato che l’organizzatore del tutto fosse proprio lui, il direttore, con la collaborazione dei docenti che ci davano a credere di essere noi i promotori dell’evento e noi, ignari di questo, ne eravamo orgogliosi anche se i silenti occhi sornioni del dirigente ridacchiavano dietro le spessi lenti.

La nostra era una scuola semplice, si era contenti di cose spontanee, i maestri e le maestre ci educavano alla ritualità delle feste e delle consuetudini. Proprio in una delle rare passeggiate all'aperto, si celava il rito della conoscenza dell’altro continente che gli insegnanti del tempo praticavano accompagnandoci sul nostro meraviglioso Lungomare. Qui ci invitavano ad osservare bene l’occaso cioè la linea dell’orizzonte dove per prima cosa avremmo intercettato le doppie gobbe della “camelide” Pantelleria, che proprio per la sua configurazione zoomorfa ci anticipava la presenza, nella prossimità spaziale, della terra dove questi animali vivono(con una sola gobba), poi si comprendeva che dietro il vicino orizzonte, ad appena centocinquanta chilometri della nostra costa europea, c’era Mamma Africa.

Il maestro, per farci raggiungere virtualmente l’altro continente, cominciava la sua tiritera ripetendo (questa volta ad essere ritmico era lui) camina camina, camina, camina e cosi via, cadenza questa, che veniva interrotta dal simpatico compagno che gridava “ma un si arriva cchiù?”. A questo punto sistematicamente arrivava lo scappellotto sulla nuca del “distrattore” scatenando l’ilarità di tutto il gruppo, dopodiché l’insegnante riprendeva la spiegazione.

Non so se gli insegnati di oggi conducano gli alunni a prendere coscienza del prezioso particolare spazio fisico dove viviamo: limite estremo di un continente a fronte di un altro continente. Questa riva, posta a fronte dell’Africa, si può considerare la soglia d’invito della città e del suo territorio per essere stata nello scorrere del tempo approdo delle diverse culture che hanno frequentato l’Isola, facendola diventare la “cerniera culturale” tra la vicina Africa e la Sicilia .

Negli anni Sessanta, a volere segnare questa peculiarità della costa occidentale dell’Isola come soglia di arrivo delle culture degli orizzonti vicini, come quello africano, quello egeo, quello del medio oriente, e degli orizzonti lontani come quello iberico o quello francese, è stato il grande scultore del Novecento Pietro Consagra. In piazza Mokarta realizzò la monumentale opera in bronzo poggiante su un tau in cemento armato, il cui traverso otticamente collima con la linea dell’orizzonte e su cui si ergono le quattro sculture che rappresentano “Uomini che vengono dal mare” quasi a volere cristallizzare gli arrivi di queste genti evocandone gli apporti delle contaminazioni culturali provenienti dai quattro punti cardinali della terra, prima che la labile memoria dell’uomo dimenticasse questo aspetto del litorale come porta dell’Occidente nel Mediterraneo.

Tutto ciò che ha varcato questa terra di confine attraverso la soglia-approdo nello scorrere dei secoli è stato “metabolizzato” e potenziato.

Già nel mondo antico la fascia costiera che va dalla foce del Modione sino alla spiaggia di Pizzolungo, alle pendici di Monte Erice, rappresentava la base d’inizio da dove intraprendere le vie che conducevano a quei poli sacri comuni alle antiche genti del Mediterraneo. Così ad oriente, sulla sponda destra del Modione, vi era il santuario della Demetra Malophoros. L’esistenza di questo luogo sacro nella metropoli Selinunte, città di frontiera, garantiva e favoriva la convivenza tra le diverse popolazioni.

Prossimo a questo tempio vi era quello dedicato ad Ecate, divinità psicopompa, in grado di percorrere il mondo degli uomini ed il regno dei morti. Spostandoci ad occidente troviamo un’altra area sacra dove sorgeva un antico pozzo di vaticinio divenuto in epoca cristiana il pozzo di S. Giovanni sul litorale mazarese. Proseguendo sul litorale lilibetano troviamo un altro luogo sacrale di grande interesse nel mondo remoto, quella determinato dalla fonte della Sibilla Lilibetana che fu in epoca cristiana inglobata nella chiesa di San Giovanni Battista.

Questa Sibilla, come le altre profetesse italiche, era consacrata ad Ecate e da questa traeva la capacità di dare responsi provenienti dagli spiriti o dagli Dei. Proseguendo ulteriormente verso occidente si perviene alla spiaggia presso Pizzolungo che concludeva il segmento di costa vissuto come approdo cultuale: da qui gli antichi pellegrini si avviavano per il percorso che portava al tempio prima dedicato alla fenicia Astarte, poi alla greca Afrodite ed infine alla latina Venere. Questo luogo di culto fu così importante per il mondo romano che Virgilio lo volle inserire nell’Eneide come tappa obbligatoria per gli esuli di Troia prima di raggiungere la costa laziale e qui l’autore fa morire il padre di Enea.

Nel 1930 per ricordare questa leggenda fu eretta una stele dedicata appunto ad Anchise.

È questo, dunque, un territorio da sempre vocato al pluralismo religioso per la sua natura di terra di confine, dove sono stati agevolati gli incontri di civiltà con il vantaggio della crescita della propria identità culturale. Così nel tempo, sempre da Mamma Africa, arriverà il giudaismo, il cristianesimo ed l’islamismo.

La comunità israelita, e con essa il suo culto, presente in questo territorio e nell'Isola tutta da tempo immemorabile, a seguito dell’editto di Granada del 31 marzo 1492, Editos de expulsion del los judos, pervenuto in Sicilia il 18 giugno dello stesso anno, fu costretta a lasciare la Sicilia procurando alla società siciliana un notevole danno culturale ed economico. Della presenza giudaica in Mazara nel XII sec. ci dà notizia il viaggiatore giudeo Beniamino da Tudela nella sua opera Itinerarium, che costituisce il primo documento che attesti la presenza israelitica a Mazara, anche se la venuta degli ebrei è da datare in tempi molto remoti.

Sebbene esistano scarse testimonianze sul Cristianesimo dei primi secoli in Sicilia, il diffuso culto di S. Vito su tutto il territorio diocesano ci porta a congetturare che nel nostro contesto territoriale esso si sia diffuso dopo il III sec., ipotesi questa supportata dalla documentazione dello sviluppo dell'architettura funeraria cristiana presente nel nostro territorio: catacombe di una certa importanza erano a Lilibeo (Marsala), a Mazara, a Carini (quest’ultima non facente più parte della Diocesi di Mazara dalla seconda metà dell’Ottocento).

Nell'ambito della città di Mazara, in quell'area oggi urbanizzata che ricade nell'antica contrada Rota che si estende sino a piazza Macello, in parte sono ancora presenti gallerie sotterranee. Tali gallerie, che si sviluppano in labirintici percorsi, interessano una vastissima area ipogea, un tempo denominata “Latomie di Santa Monica". Sulle pareti di queste gallerie sono incise molte raffigurazioni: fra le tante spiccano quelle di un modellino del prospetto di una chiesa, forse realizzata da maestri picconieri, e quelle di alcune grandi croci.

Ancora oggi si possono notare alle pareti delle nicchie incassate. Queste piccole cavità sono sormontate da croci e contornate da simboli cristiani, quali il pesce e una clava, attributo quest’ultimo solitamente associato ai santi Giuda, Taddeo e Placido. La zona di questi sotterranei è vicina all'area dove un tempo fu la Casa degli Esercizi Spirituali o “Casa Santa”, impiantata dai gesuiti nel XVII secolo e demolita nel 1968 per realizzare il nuovo Seminario dei Chierici. Nelle prossimità della Casa Santa, nel Settecento il Principe di Torremuzza, soprintendente alle antichità della Sicilia Occidentale, individuò delle catacombe giudicate simili a quelle di Siracusa.

L’individuazione di questi ingrottamenti ad opera del Torremuzza è stata resa nota da Benedetto Patera in un suo lavoro pubblicato nel 1981, nel quale viene riportato un passo dei carteggi inediti del Torremuzza: “A pochi passi fuori della città nel sito ove fu fabbricata la Casa degli Esercizi Spirituali, si scorgeva sotterra un vasto labirinto d’intricate vie intramezzate da camere sepolcrali intagliate tutte nella viva pietra”.Dalla fase di religione nascosta, in seguito con l'editto Costantiniano del 313 che promulgò la libertà di culto parificando il cristianesimo agli altri culti, la nuova religione si estese velocemente; successivamente con la fine dell'Impero Romano d'Occidente la chiesa siciliana dipenderà da Costantinopoli.

Testimonianza del singolare sincretismo della città mazarese è comunque l’aver essa dato i natali a un santo cristiano come Vito, ad un imam musulmano come Abu Abd Allah Muhammad ibn Ali ibn Ibrahim at-Tamini al Mazari e ad un poeta umanista giudeo come Angelo Callimaco Monteverdi.

Mario Tumbiolo

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