Qualche giorno fa transitando in via San Giuseppe, nel centro di Mazara del Vallo, un'immagine ha attirato la mia attenzione. Nella vetrata laterale della Multisala Grillo esposto un grande poster del film “Iddu-L'ultimo padrino”, la pellicola dei registi dei registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, con attori protagonisti i bravissimi Elio Germano e Toni Servillo, che narra in chiave originale, in parte anche grottesca e con una sottile (ma non troppo) ironia un periodo della latitanza di Matteo Messina Denaro, l’ultimo superlatitante, catturato il 16 gennaio dello scorso anno e deceduto, a causa di un tumore, il 25 settembre.
Alla sinistra della stessa vetrata (vedi la foto da me scattata) un manichino, ad altezza umana, dell'uomo ragno, uno dei più noti supereroi dei fumetti e dei film prodotti dalla Marvel, con la faccia rivolta verso lo stesso poster di "Iddu". Immediatamente la mia mente ha fatto un viaggio indietro nel tempo, all'estate del 1992, una drammatica estate: il 23 maggio la strage mafiosa di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca (anche lei magistrato) e tre agenti di scorta, e successivamente, dopo poco meno di due mesi, il 19 luglio la strage di via D'Amelio, a Palermo, ove ucciso il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.
Proprio quell'estate al Festivalbar, manifestazione canora molto seguita dai giovani in quegli anni vista la presenza di artisti di caratura anche internazionale, fecero l'esordio gli "883", un duo composto dai giovani Max Pezzali e Mauro Repetto, con il brano intitolato "Hanno ucciso l'uomo ragno"; fu il successo di quell'estate, il brano ricevette diversi riconoscimenti, il singolo arrivò a vendere quasi un milione di copie. In molti ovviamente videro nel testo del singolo di Pezzali e Repetto un chiaro riferimento alle due stragi mafiose di Capaci e Palermo i cui autori e mandanti sono rimasti per anni misteriosamente sconosciuti.
Le indagini "svelarono" che dietro a quegli attentati vi fosse l'attività sanguinaria, terroristica, di "cosa nostra" allora sotto la guida del superlatitante Totò Riina (catturato alcuni mesi dopo). A permettere quelle stragi (che ancora oggi presentano lati oscuri) con l'uccisione di Falcone e Borsellino, che certamente avevano compreso come la "mafia" avesse superato il guado per l'affermazione come sistema di potere, fu il silenzio perpetrato attraverso i diversi apparati dello Stato; Falcone e Borsellino era ben consci che rimanendo da soli sarebbero stati colpiti.
Proprio qualche giorno fa il Procuratore antimafia Maurizio de Lucia intervenendo al castello arabo normanno di Castellammare del Golfo nel corso della presentazione curata da Franco Nuccio (direttore dell’agenzia Ansa di Palermo) del libro “L’armata del diavolo” scritto da Calogero Ferrara, procuratore delegato europeo, e Francesco Petruzzella, analista informatico della procura di Palermo, così ha parlato di Giovanni Falcone: "L’unica attenuante che ho è che ero giovane ma non mi sono mai dimenticato l’errore, perché Giovanni Falcone aveva compreso qual era il sistema vero per contrastare la mafia.
Tutte le volte che ne parliamo dovremmo chiedere scusa per come è stato trattato dagli altri magistrati. Non ci sono giustificazioni. Alla base c’è l’invidia di tanti piccoli davanti ad un grande. Non è vero -ha aggiunto de Lucia- che non interessa più parlare di mafia. Bisogna saperlo fare usando gli strumenti della conoscenza, dell’approfondimento e del ragionamento. È essenziale il modo di approcciarsi -ha sottolineato il Procuratore- per comprendere un fenomeno complesso qual è la mafia...".
Il procuratore de Lucia ha così concluso: "lavoriamo per indebolire tutti i pezzi di una sola struttura che è “cosa nostra” e che oggi tenta di ricostruire la forza degli anni ’80, senza distinzione tra mafia militare e dei colletti bianchi”.
Francesco Mezzapelle