Durante la mia recente gita a Milano una tappa imprescindibile è stata la "Casa del Manzoni", una delle case-museo più prestigiose d'Italia. Molti ambienti sono rimasti inalterati nel tempo, in particolare lo studio e la camera da letto vedovile, entrambi molto suggestivi. Il primo era uno spazio sia pubblico sia privato, che ha visto entrare regnanti, intellettuali e artisti, il secondo uno spazio esclusivamente intimo, simile a una cella monastica, in cui Manzoni trascorse la vecchiaia in preghiera e in meditazione.
La mia curiosità, tuttavia, è rimasta colpita da una breve frase udita durante la visione del documentario, secondo cui tra gli ammiratori dei "Promessi Sposi" oltre agli spesso menzionati Mary Shelley, Charles Dickens e Charles de Chateaubriand c'era pure Edgar Allan Poe. Dopo aver appreso indirettamente che la fama del romanzo fosse giunta perfino Oltreoceano mi sono chiesta che cosa avesse potuto colpire un uomo così distante da Manzoni. Il bostoniano era un uomo complesso, dalla personalità borderline, forse accentuata da un'infanzia e un'adolescenza tormentate, dedito all'alcool, la cui mente profondamente sconvolta ispirò i suoi formidabili racconti potenti raffigurazioni degli angoli più bui della psiche umana.
Lontanissimo quindi da Alessandro Manzoni, uomo di nobili natali, di accuratissima educazione, di dotte e raffinate parentele e frequentazioni e la cui indole moderata trovò il suo luogo naturale in una fede cattolica non bigotta. Poe lesse l'edizione "ventisettana" tradotta e pubblicata nel 1835 con il titolo "The Betrothed Lovers" e che recensì nel maggio dello stesso anno sulla rivista "The Southern Literary Messenger". Se ci si spoglia dalle idee ricevute, spesso retaggio di pigre lezioni scolastiche, è possibile scorgere un lato oscuro e tenebroso nei "Promessi Sposi" non secondario nell'economia della narrazione (l'epidemia della peste, le scorrerie dei lanzichenecchi, la malvagità gratuita di don Rodrigo, l'indecifrabile interiorità dell'Innominato, la vicenda morbosa e violenta della Monaca di Monza).
Da questo nuovo angolo visuale diventa più chiaro come il maestro della letteratura horror sia stato uno dei primi a comprenderne il valore. La prima considerazione è di ordine formale, "I Promessi Sposi" devono molto al romanzo storico di Walter Scott, ma presentano il grande merito di "riportare alla luce da sotto le rovine" di due secoli di storia le vicende di un piccolo stato (il Ducato di Milano). Un altro aspetto evidenziato è il fenomeno inconcepibile per un protestante delle monacazioni forzate, lodando il coraggio dello scrittore cattolico che "non era meno di Lutero nel riconoscere gli abusi di quella Chiesa" con "grande valore documentario".
Il massimo plauso fu riservato al potentissimo affresco della peste del 1630 il cui acme fu per Poe il brano della morte di Cecilia. Va ricordato che lo scrittore visse anche lui la sconvolgente esperienza di una devastante epidemia, quella di colera del 1834-37 in cui morì il fratello Henry. Poe concluse la propria recensione con parole molto lusinghiere, definendo il capolavoro manzoniano "messaggero di buone novelle al mondo dei lettori", un'opera che non si limita ad avvincere e a dilettare ma educa al discernimento del Vero.
di Francesca RUSSO
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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