“Voglio vivere per essere amato, non per morire qui”. Un grido d’aiuto che arriva dal Cpr di contrada Milo. La struttura in passato è finita più volte al centro delle polemiche per le condizioni in cui sono costretti a vivere gli ospiti.
Sono attualmente 130 le persone trattenute in attesa di essere rimpatriate. Molti di loro, da lunedì scorso, hanno iniziato lo sciopero della fame per protestare “contro la detenzione e contro le condizioni disumane in cui sono costretti nella vita quotidiana", si legge in un comunicato della “Rete Siciliana contro il confinamento”.
Nelle ultime ore, gli attivisti di Arci Porco Rosso, Alarm Phone, LasciateCIEntrare, Mem. Med,Maldusa e Borderline Europe hanno diffuso una serie di testimonianze ricevute da alcune persone trattenute all’interno del Cpr. “Tra poco ci toglieranno anche questo telefono che usiamo in 40. Hanno rotto il video del telefono prima di ridarcelo, ora vogliono levarcelo, perchè?”, scrive un uomo, “non volevano che diffondessimo quello che succede qui dentro”.
All’interno della struttura insistono delle postazioni telefoniche fisse che possono essere utilizzate per comunicare con l’esterno, ma non sempre sono funzionanti. “Pubblichiamo le voci delle persone trattenute e non le immagini - si legge ancora nel comunicato della Rete Siciliana contro il confinamento - riceviamo foto e video che documentano gli spazi disumani in cui le persone sono confinate, le ferite, i tentativi di suicidio, quali ultima possibilità di uscirne”. In un filmato, circolato in alcune chat, si vede proprio un giovane che prova a suicidarsi. Episodi di autolesionismo non sono sporadici. Tentativi disperati di uscire fuori da quello che definiscono un “inferno di sbarre e cemento”. “Siamo trattati peggio degli animali. Peggio dei cani. Abbiamo letti di cemento e lenzuola di carta. Ci danno un rotolo di carta igienica per 15 giorni. Fate vedere dove viviamo e come viviamo”.
I Cpr, istituiti nel 2008 con la legge Turco-Napolitano e voluti dall’Europa - che adesso pensa ad un piano comunitario per i rimpatri - nascono allo scopo di trattenere persone prive di un documento valido per il soggiorno. Ad oggi sono la prova tangibile del fallimento delle politiche sull’immigrazione.
“Molti di noi erano andati in questura per il rinnovo [ndr. dei documenti]. Alcuni avevano un contratto di lavoro. Guarda cosa è successo! Siamo qui ora. Nessun diritto”, è la testimonianza di un altro ospite del centro.
“Restiamo a fianco di queste persone, ingiustamente private della libertà, criminalizzate e disumanizzate dal regime di frontiera - concludono gli attivisti della Rete Siciliana contro il confinamento - chiediamo la chiusura immediata di questi luoghi indegni e la liberazione di tutte le persone trattenute”.