Prima era una città “murata”, poi divenne città “aperta”. I secoli di storia hanno trasformato la città di Mazara del Vallo. E anche gli uomini perché nei tempi lunghi si assumono idee e atteggiamenti adeguati all’orologio del tempo e il cambiamento, spesso, diventa radicale. Il cambiamento urbanistico di Mazara porta una data precisa: 25 maggio 1865 quando il Consiglio comunale, presieduto da Giovanni Burgio, sindaco Giuseppe Lombardo, decise la demolizione delle vecchie mura.
La città perde la struttura che aveva rappresentato per tanti secoli (in copertina foto del pannello in ceramica collocato all'incrocio fra piazza San Michele e via Goti, ove rappresentato il centro storico con gli storici 4 quartieri: San Giovanni, San Francesco, Giudecca e Xitta) come ricorda l’Abate Vito Pugliese nella sua opera “Selinunte rediviva” del 1810, che scrive: “La città di Mazara è situata quadrangolare. E quasi pentagona”.
La città murata rappresentava un confine tra la campagna e la città, una sorta di barriera, ma non di due mondi, che restano diversi ma non contrapposti. La demolizione delle mura non si realizzò in pochi giorni ma in quella data del 25 maggio 1865 il massimo consesso cittadino approvò “la pianta topografica delle mura che – è stato scritto - cingono questa città, pianta compilata dal Sotto Capo Maestro Giambattista Russo”.
E’ questo, come abbiamo detto, un momento fondamentale per la vita di Mazara perché fu allora che, decisa la demolizione per iniziativa di quella classe emergente, composta da professionisti, proprietari terrieri, commercianti e piccoli imprenditori che, raggiunta una notevole condizione economica, si sentirono in grado di assumere il ruolo di classe dirigente della città. Emerge il ruolo scenico della piazza grande (oggi piazza della Repubblica). Il 20 luglio 1625 arrivano le reliquie di Santa Rosalia, portate in città dal vescovo Marco La Cava, palermitano.
Furono giornate di festa, fra tutte, quelle in onore del SS. Salvatore che in agosto continuavano ad animare la piazza grande con la “fiera franca”. Le baracche dei mercanti si disponevano a semicerchio conquistando la scena fra chiasso, baruffe e grande movimento di cittadini e forestieri attratti, oltre che dalle mercanzie, dalle corse dei cavalli che si svolgevano in una lunga strada fuori le mura, ma anche dalle gare acquatiche, fra le quali non mancavano le allegre battaglie fra barche.
E’ stata una imponente operazione urbanistica quella del 1865, che determinò la nascita di grandi strade, gli attuali Corso Umberto I, Corso Vittorio Veneto, via Gian Giacomo Adria, Molo Comandante Caito, che divennero, insieme a piazza Mokarta , il nuovo centro di rappresentanza ad immagine ed uso della emergente borghesia, diversamente dalla vecchia nobiltà e del clero, che erano stati i dominatori della vita cittadina nei secoli precedenti. La città, quindi, è in via di completa trasformazione e non solo perde i propri limiti fisici.
Mazara, si trasforma in città “aperta” e si espande in ogni direzione senza però un corretto ed equilibrato rapporto con la campagna , senza più un confine ben determinato, nasce, insomma, la città contemporanea. Non è vero, quindi, che l’800 mazarese fu un secolo poco interessante, di transizione, “da sottovalutare o peggio di ignorare – scrive in un articolo molto datato, l’architetto Mario Giubilato che, “anzi in quel secolo furono realizzati una serie di edifici ed interventi urbani di fondamentale importanza”.
Inoltre, oltre alla nascita delle quattro strade, attorno ad esse si costruirono la passeggiata a mare dal fiume Mazaro alla porta di SS. Salvatore nel 1848 su progetto dell’architetto Viviani e il Teatro del Popolo, poi intitolato a Garibaldi su progetto dello stesso Viviani nel 1848. Si trasformarono case e vecchie dimore ad uso di uffici pubblici, scuole, caserme, alcuni conventi e monasteri di proprietà ecclesiastica espropriati dallo Stato nel 1866. Si costruì il cimitero pubblico dietro il Santuario della Madonna del Paradiso, il macello comunale in contrada Mongiolisi nel 1897 e tanti altri edifici ed opere pubbliche.
Imponente il salto nel commercio, nell’artigianato, nell’industria, sorsero numerosi stabilimenti per la trasformazione di prodotti agricoli, costruiti nella immediata periferia come Hopps, Florio, Favara, Maiale, Casano, Salvo, Bonacasa, ecc..e sorsero come funghi numerose case urbane e suburbane, sia dentro la città che nelle nuove zone di espansione. E si potrebbe continuare fino a nostri giorni. Oggi Mazara è un luogo esemplare di un certo modello di sviluppo urbano meridionale, tra abusivismo e piano regolatore atteso da anni, da quando negli anni ’90 venne affidato l’incarico al defunto architetto Umberto Di Cristina.
E’ una città “lenta” che dispone di un centro storico antico importante, di origini arabe, che nel tempo però è andato degradandosi a causa di fenomeni naturali e poi sociali. Una successione di terremoti in decenni differenti ma poco distanti tra loro, l’emigrazione di molti degli abitanti tradizionali verso il nord o l’estero, l’intensità dello sviluppo edilizio nelle contigue aree rurali a partire dalla fine degli anni settanta, la concentrazione di stranieri nelle vecchie case danneggiate e nei vicoli tortuosi che caratterizzano il cuore del centro storico, hanno decretato, almeno sino all’inizio degli anni duemila, un vistoso decadimento di una parte rilevante della città vecchia.
Nel corso del tempo questo dedalo di vie ha finito col caratterizzarsi in termini di nazionalità e di classe. Nel 1968 sono arrivati in massa i tunisini e altri immigrati di varie popolazioni nordafricane e Mazara del Vallo è diventata una meta desiderabile per un numero consistente di stranieri, che, malgrado la precarietà occupazionale e i bassi salari, continuano a risiedervi in barba a qualsiasi considerazione razionalista e a logiche interpretative fondate sui fattori, soprattutto, di richiamo.
Dai territori della ex- Jugoslavia, per esempio, sono arrivati piccoli gruppi di rom, a volte delle carovane, composti da famiglie oppure da individui giovani e soli, impegnati a sbarcare il lunario con mezzi di fortuna. Dalla città “murata” sono trascorsi 158 anni, è cambiato tutto, ma non il mare e i tramonti (per fortuna), lo spettacolo della natura che rendono Mazara una città ricca, sofisticata, e contemporaneamente spesso sconosciuta al turismo. Peccato! Meriterebbe molto di più.
Salvatore Giacalone