“Una punta di Sal”. La crisi dei partiti, il rifugio nelle liste civiche, l’astensionismo

Le ultime elezioni amministrative hanno confermato un trend che da alcuni anni caratterizza la vita politica italiana

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
04 Giugno 2023 11:40
“Una punta di Sal”. La crisi dei partiti, il rifugio nelle liste civiche, l’astensionismo

Le recenti elezioni amministrative hanno indotto un gran numero di opinionisti a parlare di un ritorno del bipolarismo fra centrodestra e centrosinistra. Il declino del Movimento 5 Stelle e del PD è sembrato a molti la spia più evidente di questo ritorno. Eppure, alcune indicazioni sembrerebbero puntare sì in direzione di un’evoluzione del quadro politico, ma non necessariamente di un ritorno al passato. Il tratto caratterizzante di questa fase sembrerebbe essere ancora infatti, in perfetta continuità con gli ultimi anni, la perdurante crisi dei partiti politici e l’indefinito quadro politico: vi sono prove che il crinale destra/sinistra tipico del bipolarismo non esista più e, inoltre, che non vi sia alcuna comparabile linea di frattura tra gli schieramenti politici.

Nell’ultima tornata di elezioni amministrative, il dato più rilevante che, da un lato, smentisce l’ipotesi del ritorno del bipolarismo e, dall’altro, segnala la perdurante crisi dei partiti in Italia è l’ampio consenso per liste civiche associate a candidati sindaci. Si temevano anche ripercussioni rilevanti sulla tenuta del governo nazionale. Un po’ di storia. Nel 1995, nelle prime elezioni successive al crollo della Prima Repubblica e all’ascesa di Silvio Berlusconi, le liste civiche erano in numero ridotto e le loro percentuali di voto sono state estremamente modeste: gli elettori ancora premiavano le formazioni con richiami politici riconoscibili.

Fino al 2000 il numero di civiche è rimasto modesto e i loro risultati non hanno superato il 5%. Negli anni più recenti, con un’impennata dal 2015 in poi, le liste civiche sono aumentate di numero e hanno raccolto consensi rilevanti: in tutte le regioni. Negli anni è maturata una capacità delle liste civiche stesse di organizzarsi a livello regionale e di diventare competitive, superando talvolta la percentuale degli stessi partiti o lambendola. Per comprendere questo dato bisogna tenere presente il successo delle liste civiche a livello comunale, in particolare nei comuni di medie dimensioni, cioè con più di 15000 abitanti ma non capoluoghi di provincia.

In provincia di Trapani, nei 12 comuni chiamati al voto di domenica scorsa, solo nel comune di Trapani le liste civiche erano ben 18 quelle dei 4 candidati sindaci, 26 quelle dei candidati sindaci nel resto dei comuni, due le liste dei partiti Fratelli D’Italia e Forza Italia nel capoluogo. Il sindaco uscente di Trapani Giacomo Tranchida ha vinto direttamente al primo turno con ben dieci liste civiche. Dopo un’iniziale testa a testa con il candidato del centrodestra del partito Fratelli D’Italia, Maurizio Miceli, c’è stata un’accelerazione decisiva nelle ultime ore.

A seguire nettamente staccati ci sono Francesco Brillante e la consigliera comunale uscente Anna Garuccio. Nei 12 comuni sono stati 123.342 gli elettori coinvolti chiamati alle urne ma il dato definitivo dell’affluenza alle urne è stato di 73.106 votanti, pari al 59,17 degli aventi diritto, massiccio il “partito” del non voto, oltre il 40%. Eppure il voto è una delle maggiori conquiste delle democrazie libere e moderne.Perché le persone non vanno a votare? Il fenomeno è davvero preoccupante? E soprattutto, di che portata è?.

Il tema dell’astensionismo domina da anni il dibattito politico. Elezione dopo elezione, tornata dopo tornata, la partecipazione elettorale del popolo italiano è diminuita in maniera sostanziale. Alle prime elezioni della Camera dei Deputati (1948) partecipò il 92,23% del corpo elettorale, nel 2013 la percentuale era del 75,20%, per la prima volta sotto la soglia dell’80%. Il diritto di voto è sancito dall’articolo 48 della costituzione. Il cosiddetto elettorato attivo è composto da uomini e donne che hanno compiuto la maggior età.

Quello che spesso si dimentica però, è che oltre ad essere un diritto, il voto è un dovere civico, che hanno tutti i cittadini. Nonostante questo sempre più persone decidono di non partecipare, anche perché nel nostro Paese votare non è obbligatorio. Ma esistono casi al mondo in cui lo è. Nei Paesi in cui votare è obbligatorio l’affluenza è poco oltre il 70%, nei paesi in cui non lo è, è ben sotto. Nonostante questo, obbligatorio o no, il dato dell’astensionismo è tendenzialmente uniforme.

È vero che il gap fra le due categorie di paesi è in aumento, e il calo dei votanti è più drastico negli stati in cui non c’è nessun obbligo di voto, ma costringere i cittadini a dire la loro non sembra essere la soluzione migliore per riportare le persone alle urne. Non esiste un unico motivo per cui sempre meno elettori vanno a votare. Ma tra i vari fattori esplicativi occorre metterne in rilievo soprattutto la crisi dei partiti. Al tempo della Prima Repubblica i partiti svolgevano una funzione essenziale di socializzazione, di informazione e di mobilitazione.

Non è un caso che l’astensionismo sia cominciato a crescere sensibilmente dall’inizio della Seconda Repubblica dopo il tracollo dei partiti che erano stati i protagonisti della Prima. Il crollo della fiducia nei partiti ha portato con sé il crollo della partecipazione. A livello di elezioni politiche tra quelle del 1994 e quelle del 2018 l’affluenza è calata di quasi quattordici punti percentuali. A livello di elezioni europee è calata di più e lo stesso dicasi ai livelli inferiori.

Cosa si può fare per invertire o quanto meno arrestare la tendenza negativa? Se i partiti non recupereranno credibilità e capacità organizzativa e se non si affronterà seriamente il tema della educazione alla democrazia la disaffezione nei confronti della politica è destinata a continuare e con essa l’astensionismo. Tra gli aspetti che aiutano a spiegare questi livelli di astensionismo, credo abbia un ruolo anche la povertà, nella doppia tenaglia dei problemi più pressanti che incombono sul potenziale elettore e della forte disillusione che la politica non è ancora capace di dare una risposta. Guardando dentro il dato di povertà, che colpisce in misura più che doppia i giovani rispetto agli anziani, si trovano due fattori di grave disagio sociale: l’abbandono scolastico e la disoccupazione, vale a dire rispettivamente la povertà educativa e la povertà economica, che si sommano e si combinano per corrodere alla base i fondamenti democratici della società civile.

Votare è un diritto – si dice – ma non è un obbligo”. Ma in questo periodo storico ogni cittadino si deve assumere le proprie responsabilità verso sé stesso e verso la comunità.

Salvatore Giacalone

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