"Una punta di Sal". Cercasi lavoro a giusto salario

La pandemia ha complicato ancora di più la situazione ed ha lasciato segni profondi nel mercato del lavoro

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
19 Giugno 2022 18:16

I giovani in Italia lavorano poco e il lavoro che svolgono è un lavoro “povero” in termini di competenze e compensi. Non solo: il nostro paese ha la più elevata percentuale di cosiddetti “neet” cioè persone soprattutto di giovane età, che non hanno né cercano un impiego e non frequentano una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale, ragazze e ragazzi fra i 20 e i 34 anni di età che non lavorano, non studiano e non sono coinvolti in altri tipi di percorsi formativi e di avviamento al lavoro: sono il 29.4% di quella fascia d’età, la percentuale più elevata dell’Unione Europea.

Il problema, fra l’altro, è che quella cifra sta crescendo: nella sotto fascia più elevata (25-34 anni) l’incidenza è infatti passata dal 23.1% del 2008 al 30.7% del 2020, ultimo anno disponibile. Oltre 12 punti sopra la media Ue. Senza allontanarci troppo dalla parte dedicata ai giovani, basti dire che nel 2019 l’11.8% dei lavoratori italiani era a rischio di povertà, oltre 2.5 punti sopra la media Ue. Oltre un lavoratore su otto, prima della pandemia, dichiarava di aver lavorato per più della metà dell’anno di riferimento e di appartenere a un nucleo familiare con reddito equivalente disponibile inferiore al 60% di quello disponibile mediamente di quello o nazionale.

Nel dibattito pubblico la condizione di povertà lavorativa viene spesso associata, e a volte liquidata, con un livello basso di retribuzione e alla stagnazione salariale. Gli stipendi o i compensi sono in realtà una parte della storia, ma non l’unica. Un pezzo di quella storia parte proprio dai più giovani. Con la pandemia che, a complicare ancora di più la situazione, ha lasciato segni profondi: oltre due giovani su tre che erano “neet” nel 2019 sono rimasti nella stessa identica condizione un anno dopo, oltre tre su quattro al Sud Italia o tra i giovani meno istruiti o stranieri.

Non a caso l'Italia è trainata dai più vecchi, in un cortocircuito che ci sta condannando. “Tra le forze attive del paese prevalgono le masse più vecchie, nate fino alla metà degli anni ‘70, entrate nel mercato del lavoro in condizioni di maggiore stabilità e migliori tutele, andate via via riducendosi a seguito di una pervicace flessibilità del mercato del lavoro” - si legge nel report. Insomma, abbiamo tenuto più a lungo i padri e le madri negli uffici e nelle imprese senza creare nuovi spazi per i figli e le figlie traendone un risultato paradossale: una riduzione significativa del segmento più giovane della forza lavoro.

In Sicilia i dati risalgono al 2021 e sottolineano una diminuzione della disoccupazione dello 0,9%, ma il miglioramento è quasi invisibile e lascia il tasso al 40%. Tra le regioni europee, la Sicilia è quinta per disoccupazione dei giovani tra i 15 e 29 anni. Situazione critica anche in relazione all’Italia, dove ricopre la seconda posizione per disoccupazione la popolazione tra i 15 e i 74 anni. In Sicilia, 4 giovani su 10 sono senza lavoro. I numeri sono quelli delle statistiche Eurostat sul mercato del lavoro e sulla disoccupazione nel 2021 pubblicate dall’Ansa, che mostrano tassi di disoccupazione nell’isola nella popolazione compresa tra i 15 e i 29 anni.

In Sicilia dunque il 40% degli under 30 non lavora, una percentuale che, sebbene minore a quella registrata l’anno precedente, resta tra le più alte d’Italia. Le cose non cambiano se la fascia di età analizzate quella degli adulti, anzi la percentuale peggiora: una persona su 5 infatti è disoccupata. La mancanza di lavoro è uno dei flagelli che da sempre caratterizzano il Meridione d’Italia e la Sicilia in particolare. Eppure c’è chi sostiene che il lavoro ci sia. La provincia di Trapani si attesta sul 28% di disoccupati.

Secondo i dati Istat, nel 2019 il tasso di disoccupazione a Mazara era del 31,38%, un dato molto preoccupante che per le donne, dai 15 ai 30 anni sale addirittura al 55%. Ci sarebbe però da aprire il capitolo del lavoro in nero. Migliaia i lavoratori uomini e donne che lavorano tutto i giorni o part time per somme irrisorie pur di andare avanti. Una piaga sociale difficile da estirpare se lo Stato non interviene sulle ritenute in busta paga e se il reddito di cittadinanza non verrà ristrutturato per fare entrare nel mercato del lavoro chi ne usufruisce.

E a Mazara sono circa 2000. Come se ne esce? Secondo Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia e statistica sociale all’università Cattolica di Milano e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo che è intervenuto nel rapporto, bisogna “formare meglio i giovani, favorire canali di ingresso adeguati al mondo del lavoro (orientamento vocazionale, alla formazione e al lavoro), garantire loro sussidi di disoccupazione dignitosi nei periodi di fuoriuscita dal mercato lavoro con percorso di accompagnamento al rientro, programmi di riqualificazione, implementare politiche abitative adeguate (supporto agli affitti e all’acquisto della prima casa, social housing) che permettano ai giovani di avviare un ciclo di accumulazione della ricchezza: sono queste le politiche di cui si avrebbe bisogno e su cui il nostro paese è strutturalmente carente”.

Salvatore Giacalone

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