Ultime della sera: “Sant'Alfio, fede e folklore”

Una festa popolare in cui il Cristianesimo accoglie l'eredità della Magna Grecia.

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
10 Maggio 2021 18:30
Ultime della sera: “Sant'Alfio, fede e folklore”

Oggi il calendario liturgico ricorda sant'Alfio, il quale insieme con i due fratelli Cirino e Filadelfo, è una delle figure più sentite nella devozione popolare nell'area jonico-etnea come testimoniato dalla diffusione del suo nome. Il dieci maggio, a Catania, è considerato l'annuncio della bella stagione, che in tutte le case assume inequivocabilmente il profumo della salsa di pomodoro fresca, condita con il basilico e l'aglio nuovo, nonché le immancabili melanzane fritte.

I "tre casti agni", così vengono chiamati i tre fratelli martiri della fede, hanno avuto lo strano destino di essere celebrati durante la sensualissima primavera siciliana, in cui la natura si risveglia carica di colori e profumi stordenti e di cui anche le manifestazioni religiose recano impronta. La festa di sant'Alfio ha il suo centro nell'omonimo santuario di Trecastagni, meta conclusiva del "viaggio" di tutti i pellegrini provenienti da ogni parte della provincia. I devoti, nell'abito tradizionale fatto da calzoni bianchi, fascia rossa come il sangue del martirio e piedi scalzi, con i loro carretti addobbati si riunivano in piazza Duomo e attraverso la via Etnea, compivano il loro tragitto, giunti sul sagrato scoppiavano nell'urlo liberatorio: "Affiu, 'cca sugnu, arrivai!".

Fino a un passato non molto remoto, qualcuno percorreva la navata "a ginucchiuni" o, in un parossismo devozionale, "a lingua a strascicuni". Diversi partecipanti portavano con sé degli ex-voto per grazia ricevuta, solitamente dei quadri realizzati da artisti popolari in stile naïf, ma la maggior parte andava per mera devozione, tale era l'affetto nei confronti dei tre giovanetti che coraggiosamente avevano affermato la propria fede.

Naturalmente le funzioni religiose erano affiancate da manifestazioni di diverso genere, una chiassosa fiera dove primeggiava il cibo da strada, "arrusti e mangia", torrone e il generoso vino dell'Etna sgorgava abbondante a placare la sete e il fervore. Una festa che traboccava dell'esuberanza e della vitalità tipiche del siciliano jonico; infatti, la sua apoteosi conclusiva era la celebre "calata de' 'mbriachi" in cui l'euforia qualche volta si è trasformata in tristezza a causa di drammatici incidenti. Una festa in cui sacro e profano, spiritualità e carnalità, interiorità e istrionismo, fede cristiana e pathos pagano sono indistintamente e indissolubilmente intrecciati. Una festa che oggi ha perso molto nel bene della sua autenticità sinceramente popolare e nel male dei suoi eccessi superstiziosamente barocchi dello spirito originario ma che tuttavia continua caparbiamente a resistere e a ricordarci le nostre radici più vere.

di Francesca RUSSO

La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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