Ultime della sera: “Radici”

Confini, storie, luoghi, tempi, intuizioni e purtroppo anche invenzioni

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
02 Luglio 2022 18:40
Ultime della sera: “Radici”

Quando da adolescente ascoltavo i dischi di Guccini, tanti anni fa, respiravo un'aura di saggezza nelle parole scandite da questo cantautore modenese, ancora per me quasi sconosciuto, incontrato per caso durante le mie prime attività con gli scout dalla voce e dalla chitarra di Benno. Un distillato di vita, di emozioni, di valori, di parole pensate e non buttate lì per caso, come invece siamo costretti a sentire in tante canzoni. Parole che in qualche modo, insieme certamente a mille altre influenze, hanno guidato la mia adolescenza verso un certo percorso, facendomi seguire un certo tipo di ideali. Iniziai ad approfondire la sua conoscenza attraverso i suoi dischi che compravo racimolando qualche risparmio, ed uno fra i primi dischi che acquistai fu proprio “Radici" il suo quarto album pubblicato esattamente mezzo secolo fa.

Poi lo incontrai tante volte durante gli innumerevoli concerti a cui ho avuto la fortuna di partecipare fino a quella sera trascorsa a Bologna all’Osteria da Vito dove ho avuto modo di stare nello stesso tavolo con lui come un vecchio amico parlando di tutto e di niente.

Ma tornando a “Radici” Guccini ama ricercare i significati nascosti dei termini dentro la poesia musicata delle sue canzoni, “Radici” è sicuramente il disco più adatto per riscoprire questa poesia e tentare un ricerca simile. Tentare cioè di dare una definizione più precisa a ciò che la parola radici può voler dire, fra tanti rivoli di significati e sfaccettature.

La prima, omonima traccia ci ricorda come le radici siano anzitutto dei confini: confini della sera e dei ricordi. Oltre le nostre radici c’è il nulla, perché noi oltre non esistiamo. Ed è inutile cercare risposta ad ogni cosa non capìta. Com’è di fatto inutile cercare le parole quando “La pietra antica non emette suono o parla come il mondo e come il sole, parole troppo grandi per un uomo”.

Quanta saggezza e quanta dolcezza in questi versi, due ingredienti di cui la memoria del nostro passato si è da sempre nutrita.

La locomotiva narra invece la storia del macchinista Pietro Rigosi, che il 20 luglio 1893, appena ventottenne dirottò un treno scagliandolo a forte velocità verso la stazione di Bologna. La corsa fu fatalmente deviata su un binario morto e Rigosi sopravvisse, ma amputato e sfigurato. Questo brano, che Guccini dichiarò di aver scritto in venti minuti, ci ricorda allora che le radici sono storie, esattamente come questa, da ricordare e raccontare attraverso i secoli.

La Piccola città della canzone successiva altro non è che Modena, sua città natale, definendola “bastardo posto” e una “vecchia bambina”, luogo di “visi e dolori e stagioni, amori e mattoni che parlano”. Le radici allora sono le origini, nel senso letterale del termine: ciò che ci ha visti “cominciare”. La stessa città di Modena fa poi da sfondo a Incontro, il brano seguente, che narra il trovarsi inaspettato e sospeso: quello fra due vecchi amici. Ogni incontro, va da sé, è radicato in un luogo ben preciso, sia esso fisico e reale come una stazione o intimo e più interiore come gli spazi sterminati della nostra mente. Le radici, in definitiva, sono luoghi.

Poi Canzone dei dodici mesi ci ricorda che per ogni luogo ci sono anche dei tempi. I mille tempi della nostra vita: lineari, mancati, confusi, assenti, scanditi dai mesi che passano lenti o veloci, catturati o impalpabili. Gli alberi stanchi di gennaio, il sole malato di febbraio, la neve sciolta di marzo e l’amore fatto ad aprile e rinnovatosi in maggio cedono il posto a quel giugno dove Guccini ricorda che “in un giorno, sotto il sole caldo, ci son nato io”.

Poi i colori chiari di luglio e le ore fiacche di agosto aprono la via ai mesi autunnali. Quei mesi fatti dai ripensamenti di settembre, dall’ebbrezza di ottobre, tempo di vendemmia, per arrivare, attraverso le nebbie inquietanti di novembre, al mese di dicembre. Un mese dalle ombre pigre, un po’ come lo sono per quelle dei vecchi piegati su se stessi dal peso degli anni.

L’album si conclude con Canzone della bambina portoghese, forse la più ermetica e riflessiva di tutte, ricorda come le radici siano anche intuizione: parziale svelamento di una verità alla quale comunque non potremo mai accedere. Ma per chi, come il giovanissimo protagonista de Il vecchio e il bambino, fatica a credere ai racconti del nonno, le radici diventano purtroppo soltanto invenzioni.

di Francesco SCIACCHITANO

La rubrica Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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