In questi giorni, la paura del contagio da coronavirus ci porta a vivere con sospetto qualsiasi contatto umano. Le disposizioni da parte del governo sono molto chiare: mantenersi ad una certa distanza (circa un metro) e non scambiarsi né baci né abbracci né strette di mano. Ma per noi, qui al sud, abituati a salutarci calorosamente, è difficile mantenere il metro di distanza previsto dalle misure di sicurezza. E’ naturale per noi porgere la guancia per un bacio e stringerci in un abbraccio.
È’ difficile cambiare le proprie abitudini, anche se necessario. E nonostante ci sia sempre qualcuno che inneggi alla distanza e alla solitudine, con frasi del tipo : “Questa cosa di evitare il contatto con certe persone sta iniziando a piacermi”, la maggior parte della gente vive con molta insofferenza l’isolamento. L’assalto ai supermercati per il rifornimento di cibo nasce anche dal bisogno di riempire il vuoto, l’assenza, la mancanza del contatto con gli altri. Quest’interpretazione freudiana ci dice che, alla base di un comportamento così smisurato, non vi è solo la paura di restare senza scorte di cibo, ma che alla base di una folle corsa all’approvvigionamento, vi è proprio la paura di restare “non nutriti”, abbandonati e soli.
Tutto ciò ci riporta all’essenza degli esseri umani. Fino a qualche mese fa, prima dell’emergenza, circolavano riflessioni sulla trasformazione della società a causa dei social. Ma oggi vediamo che nel profondo degli animi, la società è sempre la stessa. I rapporti virtuali, che sembravano aver sostituito quelli reali, dinanzi ad un pericolo per la vita, diventano secondari e insufficienti. La diffusione del virus ha fatto sentire a tutti quanti il bisogno degli affetti più cari. Di fronte al divieto di incontrarci, di riunirci, ecco che l’altro ci manca, ecco che i contatti virtuali non ci bastano più.
All’improvviso, sentiamo il peso di un isolamento forzato e non voluto. E proprio il decreto sulla chiusura delle scuole ci lascia dentro un senso di disorientamento, oltre che una certa paura. Dopo l’esultanza iniziale, anche i ragazzi stanno cominciando a sentire il disagio dell’isolamento e ad augurarsi di poter riprendere le consuete abitudini, compreso andare a scuola. E’ molto significativo a tal proposito il tema della bambina che scrive: “Spero si possa giocare presto liberi, senza paura di abbracciarsi”. Siamo esseri sociali, anche se amiamo la solitudine, anche se spesso il contatto con gli altri ci disturba.
“Chi è felice nella solitudine, o è una bestia selvaggia o un dio”. E’ una frase di Aristotele il quale sosteneva che l’uomo è “un animale naturalmente sociale” e tende ad aggregarsi istintivamente con altri individui, formando raggruppamenti e associazioni. Oggi sentiamo la mancanza della relazione e questa volta la tecnologia viene in nostro aiuto, non per alienarci dall’ambiente circostante, ma proprio per consentirci di entrare in relazione. Le scuole stanno attivando una didattica a distanza usando le piattaforme per ricreare le classi anche da casa.
E in tutti i gruppi whatsapp vi è un brulicare di messaggi, foto, rassicurazioni e consigli. Enrico Galiano di recente ha scritto che “ci stiamo attrezzando, e studieremo nuove idee per fare scuola dall’isolamento in cui siamo…Ma insegnare è un’altra cosa....è una cosa che si fa in presenza”. L’essenza dell’insegnamento è proprio la relazione, è quella che rende umano l’insegnamento e fa crescere i ragazzi e li fa maturare. Quello che mi auguro in questi giorni è che abbiamo la possibilità di riscoprire la più intima essenza della nostra umanità, che si esplica nella relazione, e che ce ne ricordiamo, ogni volta che assegniamo i compiti sul registro elettronico da casa o che ci salutiamo con i piedi o con i gomiti , per evitare il contagio.
E che ce ne possiamo ricordare anche quando ritorneremo a relazionarci senza più paura. Josepha Billardello