Da un paio d’anni, ogni giorno mi piace scrivere un post sul mio profilo Facebook nelle prime ore mattutine, che comincia sempre con questa frase “stamattina il mio orologio biologico…”, convinto come sono che la nostra società del consumo ci abbia tolto tanto, sopratutto i ritmi biologici naturali che consentivano ai nostri padri ed ai nostri nonni di vivere bene, utilizzando al meglio le ore di luce diurna, cioè dall’alba al tramonto.
Perciò cerco anch’io (ma ovviamente non sempre mi riesce) di fare a meno della luce artificiale svegliandomi all’alba e andando a dormire al tramonto, in verità da sempre sono stato mattiniero, e mi è sempre piaciuto vivere la notte, nella sua magia e nella sua meravigliosa assenza di rumori molesti, ascoltando solamente i suoni profondi della natura, con la possibilità di pensare, di scrivere, di sognare.
E questi pensieri, che ovviamente non sono solo miei ma di tanti altri, infatti prendo sempre spunto, da libri, da poesie, da canzoni, facendo appunto un collage di pensieri fra musica e parole.
Naturalmente a corredo del post metto sempre qualche immagine, che possono essere foto fatte da me o da altri oppure da immagini che trovo in giro, che mi piacciono particolarmente, e così ogni mattina si rinnova questo appuntamento, che in definitiva, in maniera molto egoistica faccio per me, convinto come sono che la scrittura abbia un forte “potere consolatorio” ma lo faccio anche per chiunque abbia voglia di leggerli, e magari ci trova qualcosa che lo possa aiutare a vivere meglio questa avventura straordinaria che è la vita stessa.
Questo di seguito è il post pubblicato esattamente un anno fa:
“Stamattina il mio orologio biologico ha fatto le bizze, mi ha svegliato nel cuore della notte, lasciandomi tra le braccia di Morfeo meno di quattro ore, ma essendo una parte di me lo perdono e cerco di utilizzare al meglio questo tempo notturno, prima di prepararmi per la consueta passeggiata mattutina in bicicletta.
Intanto ascolto il video messaggio che i maestri Mocata & Russo hanno inviato alla chat Music & Food in preparazione dell’evento clou dell’estate mazarese, con conseguenti risposte hai quesiti testé posti.
Poi mi trasferisco nel salone per ascoltare uno dei tanti capolavori di Francesco De Gregori, l’album Scacchi e Tarocchi, canzoni meravigliose come “La storia” “ Poeti per l’estate” “A pa’” solo per citarne alcuni, ed intanto ripenso al bel concerto Jazz di ieri sera, con il magico violino di Mauro Carpi, il grande contrabbasso che quasi copre l’esile statura della giovane speranza mazarese, Arabella Rustico, e poi la chitarra elettrica di Michele Ariodante e la splendida voce di Antonella Parnasso.
E dopo aver salutato gli artisti e gli organizzatori mi sono trattenuto a parlare con Fabrizio, Alessandro ed Andreina in attesa che il Service finisse di smontare luci ed amplificazione, fino quando nell’augurarci la buonanotte mi chiedono cosa avrei scritto domattina nel mio solito post, e rispondo così di getto dicendo probabilmente scriverò di Isabel Allende.
Nel frattempo il disco è finito con la bellissima “Tutto più chiaro che qui” ed allora via di corsa verso Torretta accompagnato da un leggero vento di Tramontana e dalla voce del Principe ascoltando un suo album live “Sulla strada” registrato a novembre del 2012 all’Alcatraz di Milano.
Arrivato al tavolino bianco di Torretta mentre mi gusto la meritata colazione, infastidito da un animata discussione di tre ragazzi nel tavolino vicino che parlano beatamente delle loro ubriacature.
Ma tornando ad Isabel Allende, qualche giorno fa ho letto un suo scritto bellissimo con riflessioni profonde su questo tempo di pandemia, pezzo che avrei voluto pubblicare ieri se non fosse morto Sergio Zavoli, ma iniziamo con una breve biografia della scrittrice:
Isabel Allende nasce il 2 agosto del 1942 a Lima (Perù). La famiglia si trova in questo periodo a Lima, per motivi di lavoro.
La madre, Francisca Llona Barros, divorzia dal padre, Tomás Allende, quando la scrittrice ha solo tre anni: Isabel non conoscerà mai suo padre, che dopo la dissoluzione del matrimonio sparirà nel nulla.
Sola, con tre figli e senza alcuna esperienza lavorativa, la madre si trasferisce a Santiago del Cile, ospitata nella casa del nonno (rievocata poi ne "La casa degli spiriti" in quella di Esteban Trueba).
Grazie all'aiuto dello zio Salvador Allende e grazie alla sua influenza, non mancheranno a lei e ai suoi fratelli borse di studio, vestiti e svaghi.
Bambina vivace ed inquieta, durante l'infanzia trascorsa nella casa dei nonni impara a leggere e a nutrire la propria fantasia con letture prelevate dalla biblioteca del nonno, ma anche con libri che la scrittrice racconta di aver trovato in un baule ereditato dal padre, contenente raccolte di Jules Verne o Emilio Salgari. L'immaginazione della piccola si alimenta anche di romanzi rosa, ascoltati alla radio, in cucina assieme alle inservienti e soprattutto di racconti narrati dal nonno o dalla nonna, quest'ultima caratterizzata da una propensione particolare verso i misteri dello spiritismo.
Questi anni fantasiosi e meravigliosi si interrompono nel 1956, quando la madre si sposa con un altro diplomatico. Data anche la natura particolare di quella professione, il diplomatico appunto, la coppia comincia a viaggiare e ad effettuare permanenze in vari paesi.
Le esperienze in Bolivia, in Europa ed in Libano sveleranno alla piccola sognatrice un mondo diverso da quello in cui è cresciuta. Isabel Allende vivrà sulla propria pelle le prime esperienze della discriminazione sessuale. Anche se le letture cambiano: legge libri di filosofia, conosce Freud e le tragedie di Shakespeare.
Frugando nella camera del patrigno, trova un "libro proibito" che resterà tra le sue maggiori influenze letterarie: nascosta in un armadio legge "Le mille e una notte".
All'età di 15 anni, desiderosa di indipendenza, ritorna a Santiago ed a 17 anni inizia a lavorare come segretaria presso il "Dipartimento dell'informazione", un ufficio della FAO.
A 19 anni sposa con Miguel Frías (1962), con cui avrà due figli: Nicholás e Paula.
In questo periodo accede al mondo del giornalismo che insieme all'esperienza teatrale sarà il suo migliore elemento formativo.
Prima entra nel campo della televisione, conducendo un programma di quindici minuti sulla tragedia della fame nel mondo; poi scrive per la rivista femminile Paula (1967-1974) e la rivista per bambini Mampato (1969-1974).
In ambito televisivo s'impegna nella Channel 7 dal 1970 al 1974.
Isabel Allende conquista la fama negli anni Sessanta, grazie alla rubrica "Los impertinentes" che la sua amica Delia Vergara le riserva all'interno della rivista Paula. Da allora la scrittrice non ha mai smesso di decantare il giornalismo come grande scuola di scrittura e di umiltà.
L'11 settembre 1973 il colpo di stato militare guidato dal Generale Augusto Pinochet termina un'altra fase della vita della Allende.
L'evoluzione dei fatti la costringe ad inserirsi per la prima volta attivamente nella vita politica del suo paese: la scrittrice s'impegna a favore dei perseguitati dal regime trovando loro asilo politico, nascondigli sicuri e facendo filtrare notizie del paese.
Il regime dittatoriale le permette di collaborare ancora con le televisioni nazionali, ma ben presto decide di abbandonare il lavoro, perché si rende conto che il governo militare la sta usando.
Decide allora di emigrare e, seguita in breve dal marito e dai figli, si ferma per tredici anni in Venezuela, dove scrive su vari quotidiani.
Di fatto autoesiliatasi, comincia a scrivere per sfogare la propria rabbia e sofferenza.
Nasce così il primo romanzo, rifiutato da tutte le case editrici latino-americane per il fatto di essere firmato da un nome non soltanto sconosciuto, ma addirittura femminile. Nell'autunno del 1982 "La casa degli spiriti", una cronaca familiare sullo sfondo del mutamento politico ed economico nell'America latina, viene pubblicato a Barcellona da Plaza y Janés.
Il successo divampa inizialmente in Europa e da lì passa negli Stati Uniti: le numerose traduzioni in varie lingue fanno conoscere la scrittrice in moltissime parti del mondo.
Da quel momento in poi, inanellerà un successo dopo l'altro, a partire da "D'amore e ombra" fino a "Paula", passando per "Eva Luna".
A 45 anni Isabel Allende divorzia dal marito e nel 1988 si sposa in seconde nozze con William Gordon che conosce durante un viaggio a San José, negli Stati Uniti.
La storia della vita del nuovo compagno della scrittrice ispira un nuovo romanzo che viene pubblicato nel 1991 col titolo "Il piano infinito".
Molti critici hanno definito l'opera di Isabel Allende come un collage di idee e situazioni tratte dai suoi colleghi più famosi.
Ma una delle critiche più persistenti è quella del paragone costante con Gabriel García Márquez e, in effetti, una certa influenza dello scrittore colombiano risulta essere innegabile, dal momento che viene tutt'ora considerato un punto di riferimento per le nuove generazioni di scrittori iberoamericani.
Non si può comunque tralasciare di citare il fatto che il libro-confessione "Paula" è il resoconto della tragedia che ha colpito l'Allende.
Paula, infatti, non è altri che la figlia della scrittrice, morta il 6 dicembre del 1992 di una malattia rara e incurabile dopo aver passato un lungo periodo in stato comatoso.
Ma ecco il suo pezzo:
Di Isabel Allende sulla pandemia e la paura
“Da quando Paula (mia figlia) è morta 27 anni fa, ho perso la paura della morte.
Innanzitutto, perché l'ho vista morire tra le mie braccia e ho capito che la morte è come la nascita, è una transizione, una soglia e ho perso la sua paura personalmente.
Ora, se il virus mi cattura, appartengo alla popolazione più vulnerabile, gli anziani, ho 77 anni e so che se lo prendo, morirò.
Quindi la possibilità della morte mi è molto chiara in questo momento, la vedo con curiosità e senza paura.
Ciò che la pandemia mi ha insegnato è di lasciar andare le cose, di rendermi conto di quanto poco ho bisogno.
Non ho bisogno di comprare, non ho bisogno di più vestiti, non ho bisogno di andare da nessuna parte o viaggiare. Penso di averne troppo.
Mi guardo intorno e mi chiedo perché tutto questo.
Perché ho bisogno di più di due piatti?
Quindi scopri chi sono i veri amici e le persone con cui voglio stare.
Cosa pensi che la pandemia ci insegni a tutti?
Ci sta insegnando le priorità e ci sta mostrando una realtà.
La realtà della disuguaglianza. Come alcune persone passano la pandemia su uno yacht ai Caraibi e altre persone muoiono di fame.
Ci ha anche insegnato che siamo una famiglia.
Quello che succede a un essere umano a Wuhan, succede al pianeta, succede a tutti noi.
Non esiste questa idea tribale che siamo separati dal gruppo e che possiamo difendere il gruppo mentre il resto della gente se ne frega.
Non ci sono muri, non ci sono pareti che possono separare le persone.
I creatori, gli artisti, gli scienziati, tutti i giovani, molte donne, stanno prendendo in considerazione una nuova normalità.
Non vogliono tornare a ciò che era normale.
Si chiedono quale mondo vogliamo.
Questa è la domanda più importante in questo momento.
Quel sogno di un mondo diverso: dobbiamo andare lì.
E rifletto: a un certo punto mi sono resa conto che si viene al mondo per perdere tutto.
Più a lungo vivi, più perdi.
In primo luogo stai perdendo i tuoi genitori, a volte persone molto care intorno a te, i tuoi animali domestici, i luoghi e anche le tue facoltà.
Non puoi vivere nella paura, perché ti fa immaginare cose che non accadono e soffri il doppio.
Dobbiamo rilassarci un po', provare a goderci quello che abbiamo e vivere nel presente."
E per concludere cito questi versi di Paulo Coelho:
“Io non vivo né nel mio passato, né nel mio futuro. Possiedo soltanto il presente, ed è il presente che mi interessa.
Se riuscirai a mantenerti sempre nel presente, sarai un uomo felice.
La vita sarà una festa, un grande banchetto, perché è sempre e soltanto il momento che stiamo vivendo.”
di Francesco SCIACCHITANO
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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