Ultime della sera: “La leggenda delle “teste di moro”

Il mito e i racconti legati ai vasi antropomorfi siciliani.

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
27 Maggio 2021 18:30
Ultime della sera: “La leggenda delle “teste di moro”

Le splendide sculture denominate “Teste di Moro” abbelliscono le case e i balconi fioriti in Sicilia, essendo diventate uno dei simboli più rappresentativi dell’isola. La loro origine risiede in un’antica leggenda tramandata nei secoli con due differenti versioni. In una variante del mito, le due teste sono quelle di due innamorati, uccisi per aver vissuto una relazione clandestina, considerata indecorosa. La seconda invece è una storia di passione, tradimento e vendetta. I protagonisti in entrambe le versioni sono un giovane Moro e una fanciulla siciliana.

L’intera vicenda si svolge a Palermo intorno all’anno mille durante la dominazione araba dell’isola e la versione romantica della leggenda narra di un amore ostacolato a causa delle origini nobili della fanciulla. I due amanti, costretti a nascondersi, vengono scoperti e condannati alla decapitazione. Ma affinché la loro vicenda sia da monito per la popolazione, le loro teste vengono esposte pubblicamente. Il loro ricordo sopravviverà e darà origine alla realizzazione dei vasi antropomorfi. In un’altra versione, invece, il giovane nasconde alla fanciulla di avere lasciato, nella sua terra, moglie e figli.

Quando arriva il momento di partire, lei, sopraffatta dalla gelosia e dal desiderio di vendetta, compie un gesto estremo. Uccide il giovane nel sonno e gli taglia la testa, per tenerlo sempre con sé, in uno slancio macabro e folle. Con la testa poi realizza un oggetto simile ad un vaso e vi mette all’interno un germoglio di basilico. Il vaso, esposto al balcone, attira l’attenzione e l’invidia dei passanti che decidono di realizzare dei vasi in terracotta. Boccaccio nel Decamerone riprende la versione dell’amore ostacolato.

I dieci giovani che per sfuggire alla peste si sono rifugiati in campagna si cimentano a turno nel racconto di una novella e all’interno della quarta giornata, che ha come tema centrale quello dell’amore infelice, Filomena racconta la storia di Lisabetta da Messina. La giovane, orfana, vive con i suoi fratelli e si innamora del povero garzone Lorenzo. I fratelli però non approvano la storia d’amore perché progettano per la sorella un matrimonio che sia economicamente vantaggioso. Non le rivelano le loro reali intenzioni e partono con Lorenzo, prendendo a pretesto un viaggio d’affari.

Durante tale viaggio uccidono il ragazzo e ne occultano il cadavere. Poi diffondono la notizia che egli sia rimasto fuori città per portare a termine il lavoro, ma Lisabetta non ne è convinta e una notte sogna il suo amato che le rivela la verità. La ragazza si reca nel luogo del delitto e disseppellisce il cadavere. In preda al dolore per la sua perdita, gli taglia la testa e la nasconde in un vaso che ricopre con una pianta di basilico. Lisabetta cura con amore la pianta e ciò costituisce l’unico conforto per lei.

I fratelli però non comprendono, anzi, preoccupati del suo attaccamento alla pianta e delle voci che circolano tra i vicini, le tolgono il vaso, lasciandola nella disperazione. La povera Lisabetta si ammala e muore, vittima della mentalità calcolatrice dei fratelli.

Le analogie con la leggenda siciliana sono tante ma in Boccaccio prevale l’intento di affermare le ragioni dell’amore vero su quelle del profitto e della voglia di ricchezza che portano a compiere un tale efferato delitto. I fratelli non curanti dei sentimenti di Lisabetta sentono solo le ragioni del vantaggio economico e sociale per il quale sono disposti a sacrificare tutto.

L’intento celebrativo dell’amore è presente invece soltanto in una versione della storia siciliana in cui si parla dei dolci amanti, vittime in questo caso di una ferrea legge isolana che mira a difendere l’onore a tutti i costi. E’ questa la variante più accreditata in quanto le teste di moro sono due e raffigurano un uomo e una donna. Ma la leggenda della fanciulla tradita, tramandata di generazione in generazione, rimane a ricordarci il prevalere, su un autentico sentimento d’amore, della ferocia e della vendetta, seguita poi da una sorta di folle “atto riparatore”.

Infatti la ragazza, dopo aver tagliato la testa del giovane moro, vi pianta il basilico, pianta considerata sacra; in tal modo, cerca di annullare il terribile atto compiuto. L’amore non è più amore, ma odio e folle proposito di prendersi cura di lui proprio attraverso le foglie di basilico. Ed ecco perché ogni scultura di Testa di Moro reca una corona ad indicare la pianta regale con cui venne ornata la testa del giovane nel macabro epilogo della vicenda.

Leggendo i versi di John Keats possiamo immaginare le lacrime di una dolce fanciulla innamorata oppure il pianto dissennato di un’amante tradita.

“ Sul suo dolce basilico ella sempre rimase E fino alle radici con le lacrime lo bagnava”.

di Josepha BILLARDELLO

La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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