Ultime della sera, “La Leggenda del Santo Bevitore: un film da riscoprire

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
27 Agosto 2020 18:35
Ultime della sera, “La Leggenda del Santo Bevitore: un film da riscoprire

Non senza emozione e con l'auspicio di non deludere chi mi ha dato fiducia, inauguro la mia collaborazione con la rubrica "Le ultime della sera" recensendo un classico del cinema italiano, "La Leggenda del Santo Bevitore" di Ermanno Olmi, film vincitore del Leone d'oro a Venezia nel 1988, interpretato da Rutger Hauer. Due uomini apparentemente antitetici: religioso, terragno, stanziale, dimesso, cagionevole il regista italiano; ateo, marinaio, nomade, avvenente, poderoso l'attore olandese. Le differenze tuttavia si fermano qui e tutte in superficie, in realtà erano uniti da affinità molto notevoli: l'estraneità alle aberrazioni dello star system, la consapevolezza della transitorietà del successo e della precarietà della condizione umana, l'invalicabile riservatezza della vita privata.

Tratto dall'omonimo romanzo breve di Joseph Roth, narra la drammatica e poetica vicenda di Andreas Kartak, un ex pugile tedesco, clochard e alcolista, rifugiato nella Parigi degli anni Trenta in seguito a un delitto passionale. Un mattino, un uomo distinto e misterioso gli affida duecento franchi dietro la promessa di restituirli alla chiesa di santa Teresa di Lisieux a Batignolles, cui l'anonimo benefattore è devoto. Andreas prende sul serio l'impegno morale ma i suoi ripetuti cedimenti alle tentazioni impediscono l'adempimento e, imprimendo alla pellicola un andamento circolare, si arriverà alla degna conclusione.

Volutamente non aggiungerò altro riguardo al plot, preferisco soffermarmi sul messaggio. Messaggio intriso di spiritualità cristiana, ponendo l'accento sul tema della fragilità umana e della grazia divina. Teresa di Lisieux, invisibile co-protagonista, si rivela la più protestante delle sante cattoliche, ad ogni caduta tende paziente la sua mano e Andreas si rialza più innocente di prima conformemente al precetto luterano "pecca fortiter sed crede fortius". Immenso merito del maestro Olmi è stato saper plasmare l'ingombrante fisicità di Hauer nelle riuscite sembianze di un uomo malridotto ma che ha conservato dignità, benevolenza, gentilezza.

I glaciali occhi celesti diventano dolci e malinconici, il sorriso ironico e beffardo mesto e rassegnato, dando così spessore e credibilità al personaggio. Un'occasione, rara purtroppo, in cui le grand méchant è stato liberato dal cliché di assassino sadico e psicopatico regalando al pubblico un'interpretazione magistrale per sensibilità e naturalezza. Un film che invito a riscoprire in cui letteratura e cinema si fondono per diventare poesia.   Francesca Russo

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