di Mare CALMO In questa seconda parte della mia riflessione farò riferimento al grande insegnamento di Don Lorenzo Milani, ribelle e rivoluzionario sacerdote toscano. Relegato, a causa delle sue idee giudicate “comuniste”, in una piccola frazione del Mugello, riesce in quel contesto ad occuparsi e curare con estrema attenzione il “micromondo” che si trovò ad avere affidato. Un mondo fatto di ragazzi svantaggiati e problematici soprattutto per la condizione sociale caratterizzata dalla povertà che in quel tempo non avrebbe consentito di elevarsi.
Don Milani si “cura” di loro in maniera totale partendo dall’educazione scolastica che all’epoca era molto classista e di fatto proibitiva per le famiglie meno abbienti. E’ nella piccola scuola di Barbiana che viene coniata la massima “I CARE” che diventa il motto di programma e il fine stesso della scuola: “Me ne importa; mi sta a cuore”; curare e sentire come proprio il bene di chi ha bisogno ma anche di tutto ciò che ne caratterizza la vita. Dice Don Lorenzo: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena.
…Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola. …Bisogna aver le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto”. Si potrebbe aprire un lungo dibattito a questo punto su come la scuola viene condotta e, soprattutto, da chi viene rappresentata ai nostri giorni dove cura e inclusività non sono certamente minate dalla povertà ma da tante altre deficienze ed attenzioni del mondo moderno.
Il dibattito, ovviamente, avrebbe a riferimento il ruolo degli insegnanti-educatori ma questo argomento è lungo e difficile da affrontare. Come sintesi riporto quello che Don Lorenzo diceva al riguardo del suo ruolo di insegnante: “Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola… Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi mentre loro mi hanno insegnato a vivere…”. L’attenta e completa “cura educativa” di quanti sono affidati porta certamente a quella reciproca mutualità del dare e ricevere che riempie l’anima della soddisfazione di avere svolto appieno il proprio compito.
Allora a questo intendo limitare questo mio intervento: ognuno di noi ha un suo ruolo; un suo compito; un suo “micromondo” che gli è affidato e che è composto di relazioni. Le modalità con le quali svolgiamo questo ruolo e, di conseguenza, come ci relazioniamo nel mondo, incidono sulla qualità della “cura” che caratterizza il nostro operato. Insomma, se ci importa del mondo in senso assoluto, siamo chiamati ad essere responsabili e ad avere a cuore tutto quello che serve per lasciarlo meglio di come lo abbiamo trovato.
Tendiamo invece, di solito, a scaricare sugli altri (anche non meglio identificati) le colpe di come le cose vanno e funzionano (o meglio non funzionano); tralasciamo spesso di giudicare come ci comportiamo nelle nostre giornate. La cura di ogni cosa passa da noi e questo ci deve importare. Ognuno di noi in tal senso può essere da esempio ed educatore: “Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa… Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra.
Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. (Don Lorenzo).” La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com